venerdì 13 ottobre 2023

Portare frutto

Il Vangelo di domenica scorsa... è ancora valido! Illumina l'intera settimana.

A Gesù piaceva parlare in parabole alle folle che accorrevano a lui. Era un modo semplice per raccontare le grande opere di Dio. Le persone capivano ed erano incantate dalle sue parole.

Anche domenica scorsa ci ha donato una delle sue parabole e parla della vigna. La maggior parte di quanti lo ascoltavano erano contadini e capivano subito con quanto amore era stata costruita la vigna di cui parlava: il padrone “la circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre”. Le persone lì presenti si saranno guardate tra di loro commentando: “Ma guarda che bella vigna ha costruito questo signore! Ha fatto le cose davvero bene”.

Gesù sta parlando dell’amore di Dio per il suo popolo: lo ha scelto, lo ha liberato dalla schiavitù dell’Egitto, lo ha accompagnato nel cammino del deserto, lo ha “piantato” nella Terra Promessa. Quanta cura da parte di Dio per il suo popolo. Le persone che lo ascoltavano si saranno guardate ancora una volta tra di loro commentando: “Davvero grandi cose ha fatto per noi il Signore”, e si saranno ricordate del testo del profeta Isaia che domenica anche noi abbiamo ascoltato nella prima lettura: «Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate; in mezzo vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino». E avranno detto, come noi abbiamo proclamato nel salmo responsoriale, «La vigna del Signore è la casa d’Israele».

Ma ecco la tragedia. Dio, che ha tanto amato il suo popolo, si aspettava di essere riamato. Invece il suo popolo gli si ribella contro, non si cura più di lui, si comporta come se egli non esistesse. Allora Dio manda alla sua gente i profeti per ricordare che essi sono il popolo che egli ama e che “si aspetta giustizia e rettitudine”, come abbiamo ascoltato nelle parole di Isaia che abbiamo ascoltato nella prima lettura, e non “spargimento di sangue e oppressione”.

Gli appelli e gli interventi del Padre sono inutili, inascoltati. Ecco che decide di mandare suo figlio. Peggio ancora: «Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero».

Con questo racconto Gesù vede già quale sarà il suo futuro: lo prenderanno con forza nell’orto degli ulivi, lo porteranno fuori della città santa e lo uccideranno appendendolo a una croce.

Come gli ascoltatori al tempo di Gesù, anche noi ci indigniamo, ed esclamiamo: “Che ingiustizia, che mancanza di gratitudine, che infamia...”.

Gesù continua a ripeterci questa parabola perché vuole interpellarci. Siamo proprio sicuri di essere diversi da quei vignaioli omicidi? Forse anche noi a volte diciamo a Dio, forse più con i fatti che con le parole: “Cosa vuoi da me, cosa pretendi? La vita è mia e ne faccio quello che voglio”.

Grandi pensatori hanno dichiarato che occorre la morte di Dio perché l’uomo possa vivere e essere pienamente sé stesso. Noi non pensiamo assolutamente in questo modo eppure, in maniera più o meno consapevole, possiamo arrivare a estromettere Dio dalla nostra vita di ogni giorno per sentirci più liberi. Pensiamo come i contadini della parabola: “Siamo noi i padroni e possiamo fare quello che vogliono e godere a nostro piacimento di quanto abbiamo!”. Essi non danno a Dio il dovuto, ma vogliono cancellarlo, ucciderlo in modo da sentirsi indipendenti, liberi, finalmente padroni della vigna e di se stessi.

Ci dimentichiamo che tutto ciò che abbiamo lo dobbiamo a lui. Se portiamo frutto è perché siamo sua vigna, tutto è dono suo: siamo sue creature, figlie e figli suoi, egli è davvero nostro Dio e nostro Padre. Egli ha impresso in noi la sua immagine, quindi gli apparteniamo. Allora dobbiamo dare a Dio ciò che è di Dio.

Ogni padre sogna per i suoi figli una vita piena, realizzata, ricca di cose belle: con una metafora, una vita ricca di frutti. Anche il nostro Padre del cielo ha un solo desiderio, che portiamo frutto, tanti frutti buoni.

L’apostolo Paolo, nella seconda lettura che abbiamo ascoltato, sembra suggerirci fare per portare frutto: «quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri». Pensare positivo perché tutta la nostra vita sia positiva.

C’è tanto male attorno a noi. Noi dobbiamo seminare il bene, con la fiducia certa – la speranza cristiana – che nasca un mondo nuovo.

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