Il Vangelo di domenica scorsa... è ancora valido! Illumina l'intera settimana.
A Gesù piaceva
parlare in parabole alle folle che accorrevano a lui. Era un modo semplice per
raccontare le grande opere di Dio. Le persone capivano ed erano incantate dalle
sue parole.
Anche domenica scorsa ci ha donato una delle sue parabole e parla della vigna. La maggior parte di quanti lo ascoltavano
erano contadini e capivano subito con quanto amore era stata costruita la vigna
di cui parlava: il padrone “la circondò con una siepe, vi scavò una buca per il
torchio e costruì una torre”. Le persone lì presenti si saranno guardate tra di
loro commentando: “Ma guarda che bella vigna ha costruito questo signore! Ha
fatto le cose davvero bene”.
Gesù sta
parlando dell’amore di Dio per il suo popolo: lo ha scelto, lo ha liberato
dalla schiavitù dell’Egitto, lo ha accompagnato nel cammino del deserto, lo ha
“piantato” nella Terra Promessa. Quanta cura da parte di Dio per il suo popolo.
Le persone che lo ascoltavano si saranno guardate ancora una volta tra di loro
commentando: “Davvero grandi cose ha fatto per noi il Signore”, e si saranno
ricordate del testo del profeta Isaia che domenica anche noi abbiamo ascoltato
nella prima lettura: «Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile
colle. Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti
pregiate; in mezzo vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino». E
avranno detto, come noi abbiamo proclamato nel salmo responsoriale, «La vigna
del Signore è la casa d’Israele».
Ma ecco la
tragedia. Dio, che ha tanto amato il suo popolo, si aspettava di essere
riamato. Invece il suo popolo gli si ribella contro, non si cura più di lui, si
comporta come se egli non esistesse. Allora Dio manda alla sua gente i profeti
per ricordare che essi sono il popolo che egli ama e che “si aspetta giustizia
e rettitudine”, come abbiamo ascoltato nelle parole di Isaia che abbiamo
ascoltato nella prima lettura, e non “spargimento di sangue e oppressione”.
Gli appelli e
gli interventi del Padre sono inutili, inascoltati. Ecco che decide di mandare
suo figlio. Peggio ancora: «Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo
uccisero».
Con questo
racconto Gesù vede già quale sarà il suo futuro: lo prenderanno con forza
nell’orto degli ulivi, lo porteranno fuori della città santa e lo uccideranno
appendendolo a una croce.
Come gli ascoltatori
al tempo di Gesù, anche noi ci indigniamo, ed esclamiamo: “Che ingiustizia, che
mancanza di gratitudine, che infamia...”.
Gesù continua a ripeterci questa parabola perché vuole interpellarci. Siamo proprio sicuri di essere diversi da quei vignaioli omicidi? Forse anche noi a volte diciamo a Dio, forse più con i fatti che con le parole: “Cosa vuoi da me, cosa pretendi? La vita è mia e ne faccio quello che voglio”.
Grandi
pensatori hanno dichiarato che occorre la morte di Dio perché l’uomo possa vivere
e essere pienamente sé stesso. Noi non pensiamo assolutamente in questo modo eppure,
in maniera più o meno consapevole, possiamo arrivare a estromettere Dio dalla
nostra vita di ogni giorno per sentirci più liberi. Pensiamo come i contadini
della parabola: “Siamo noi i padroni e possiamo fare quello che vogliono e
godere a nostro piacimento di quanto abbiamo!”. Essi non danno a Dio il dovuto,
ma vogliono cancellarlo, ucciderlo in modo da sentirsi indipendenti, liberi, finalmente
padroni della vigna e di se stessi.
Ci dimentichiamo che tutto ciò che abbiamo lo dobbiamo a lui. Se portiamo frutto è perché siamo sua vigna, tutto è dono suo: siamo sue creature, figlie e figli suoi, egli è davvero nostro Dio e nostro Padre. Egli ha impresso in noi la sua immagine, quindi gli apparteniamo. Allora dobbiamo dare a Dio ciò che è di Dio.
Ogni padre sogna per i suoi figli una vita piena, realizzata, ricca di cose belle: con una metafora, una vita ricca di frutti. Anche il nostro Padre del cielo ha un solo desiderio, che portiamo frutto, tanti frutti buoni.
L’apostolo Paolo, nella seconda lettura che abbiamo ascoltato, sembra suggerirci fare per portare frutto: «quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri». Pensare positivo perché tutta la nostra vita sia positiva.
C’è tanto male
attorno a noi. Noi dobbiamo seminare il bene, con la fiducia certa – la speranza
cristiana – che nasca un mondo nuovo.
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