Nell’Antico Testamento si seguiva solo Dio e i suoi comandamenti,
la legge: “Nel seguire i tuoi ordini è la mia gioia… seguirà la via dei suoi
decreti” (Sal 119, 14.33)
Anche l’uomo che nel Vangelo di questa domenica compare
davanti a Gesù e gli chiede come avere la vita eterna pensa che per ottenerla
occorra seguire i comandamenti ed essere buoni. Nessuno lo mette in dubbio, è
proprio così. Ma ormai non basta più, adesso c’è Gesù, Dio venuto tra noi, ed è
egli stesso la legge, il solo buono! Non basta seguire i comandamenti, sia pure
dall’infanzia, adesso occorre seguire Gesù!
“Seguimi” è l’invito che Gesù rivolge tutto il Vangelo. Non
si segue più una norma, ma una persona! E Gesù è sempre in movimento, in
cammino, va sempre avanti, per una strada che nessuno ancora conosce. Occorre lasciare
il proprio mondo per entrare nel suo, le proprie sicurezze e fidarsi solo di lui.
In una parola occorre lasciare tutto, altrimenti non si è liberi di seguirlo dove
e come vuole. Al punto da “rinnegare” se stessi e prendere la propria croce.
È un atto d’amore questo invito. Prima di chiedergli di
seguirlo, Gesù guarda quest’uomo negli occhi, forse a lungo, così come all’inizio
del Vangelo aveva visto Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni… È uno sguardo
attraverso i quale egli penetra dentro, per deporre e spiegare il disegno, il
sogno che Dio ha da sempre su quella persona.
“E lo amò”. Così la traduzione più normale di egapesen,
agapao, il verbo che indica l’amore più alto, gratuito, che caratterizza
Dio stesso. Stranamente Joachim Gnilka, uno degli autori che amo leggere,
traduce: “lo baciò”, e in nota: “egapesen indica una concreta
manifestazione dell’amore (baciare, abbracciare, accarezzare)”. Passo allora al
Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento, e alla parola agapao
leggo che il vocabolo “si può rendere abbastanza appropriatamente con amare”.
Ma poco dopo si aggiunge: “Significati differenti dall’uso generale sono egapesen”
e il primo dei due significati differenti dall’uso generale è proprio il nostro
versetto di Mc 10, 21, che traduce: “provò un senso d’affetto per lui”. Mi
è subito venuto alla mente l’abbraccio che Gesù aveva riservato poco prima al bambino
che aveva chiamato in mezzo ai discepoli per mostrare loro un modello (cf. 9,
35). Non è bello questo Gesù così “umano” che non ha paura di manifestare il
proprio amore con un abbraccio, con una dimostrazione d’affetto? Esprime tutto l’amore
di Dio, ma di un Dio incarnato! Lo stesso affetto è dimostrato verso i discepoli
che già lo seguono, ai quali subito dopo si rivolge chiamandoli “figli”, un
appellativo abbastanza raro nei Vangeli.
E cosa chiede? Di seguirlo: “Segui-mi”. Chiama ad
andare a lui, a fare la strada con lui. L’accento non è su “vendi quello che
hai”, ma su segui Me. Naturalmente per seguirlo occorrerà pure lasciare
le cose, altrimenti si resta incollati al proprio posto, legati da mille cose,
incapaci di spostarsi lungo i sentieri del Maestro. Potrebbe diventare anche costoso
tagliare con tutto, come dimostra di aver fatto Pietro assieme ai suoi compagni.
(Interessante che la versione greca della koiné riprendendo Mc 8,
34, aggiunga: “seguimi e prendi la croce”.) Ma soltanto così, in questa
incondizionata sequela, la persona trova la sua piena realizzazione, fino ad
avere cento volte di più di quanto ha lasciato, e in più avrà Gesù stesso, la Vita
eterna.
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