lunedì 5 novembre 2018

Una nuova via spirituale - Viaggiando il Paradiso / 11



Il confronto con altre esperienze mistiche e lo studio della dottrina spirituale della Chiesa, portano Chiara Lubich a prendere sempre più coscienza della novità del suo «viaggiare il Paradiso»: Dio sta aprendo una nuova via spirituale.
La stessa espressione, “viaggiare il Paradiso”, così originale, lascia intuire che si tratta di una autentica esperienza, parola che nella radice, ex-pèrior, rimanda al recarsi sul posto per conoscere, al viaggiare inteso come immergersi, penetrare. Non è viaggiare “nel” Paradiso, ma “il” Paradiso, ossia vivere ogni realtà in esso presente, così da esserne trasformati.

Leggendo gli scritti del ’49 ritroviamo il linguaggio dei “sensi spirituali” proprio della Scrittura e della tradizione cristiana. Chiara afferma con semplicità: «Ho sentito distinta, all’udito dell’anima, una voce»; «La sua voce sottile mi diceva…»; «Chiaramente sentii la voce dello Spirito che mi parlava all’Anima»; «Sento questo gaudio che m’invade tutta»; «E lo vidi e sentii [il Padre] come non mai»; «Allora mi sentii proprio Lui [Gesù nell’Eucaristia]»; «Si sente (quasi che l’anima avesse i sensi)…». La sua è un’autentica esperienza mistica, intesa come “adeguamento” al Mistero, a Dio, come “trasformazione” in esso. Quando si parla di mistica si parla anche di gratuità. Molte volte Chiara, durante gli incontri con la Scuola Abbà (iniziati nel 1990 e continuati fino a poco prima della morte), leggendo il suo testo si meravigliava di tanta bellezza, arditezza, esattezza, profezia, chiedendosi: «Come ho potuto scrivere queste pagine?». E rispondeva che è stato lo Spirito Santo a far capire, dire, scrivere quelle pagine: «È stata una grazia».

Il carisma che Chiara riceve la porta a condividere la sua esperienza, a non tenerla solo per sé. Per questo, fin dal primo giorno, comunica a Igino Giordani quanto vive. Lo stesso con le compagne. Non cerca tanto di svelare la propria esperienza, quanto di introdurre, coinvolgere, rendere partecipi. Scriverà anni dopo: «Questi misteri avvenivano in me, Chiara, ma, non appena comunicati al resto dell’Anima, li avvertivamo comuni». L’esperienza diventa quindi proposta di cammino insieme, una nuova spiritualità.

Da quando è a Roma Chiara inizia a guardare con un certo distanziamento quanto ha vissuto e continua a vivere. Si rende conto che la sua è una «via nuova… benché antica». Inizia a parlare di “una mistica nuova”: «La nostra mistica è mistica di Gesù e di Maria: la mistica del Testamento nuovo, del comandamento nuovo, la mistica della Chiesa, con la quale la Chiesa è veramente Chiesa, perché Unità, Corpo Mistico, Amore, perché in essa circola lo Spirito Santo che la fa Sposa di Cristo. È mistica di Gesù, di Gesù completo […]. E Gesù è “dove due o più”. Quindi la mistica di coloro che si amano a vicenda come Egli ci ha amato; di un’unità di anime che rispecchia, stando in terra, la Trinità di Lassù: stando in terra, perché quaggiù va testimoniato l’Uomo Dio e quaggiù è la Chiesa. Quindi la nostra mistica suppone almeno due anime fatte Dio, fra le quali circoli veramente lo Spirito Santo intero, fatto Persona, cioè un terzo, Dio, che li consuma in uno, in un solo Dio: “Come io e te”, dice Gesù al Padre. Allora e solo allora i due sono Gesù. Ecco la mistica nostra».
Che la vita mistica sia vita in Cristo è un dato tradizionale (“Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me”). La novità sta nell’aver intuito che si è «veramente» Gesù, «Gesù completo» – come scrive Chiara –, quando si è il suo Corpo, la Chiesa, quando cioè si è nell’unità. Gesù è nel “dove due o più”, è Gesù fra noi. È un’esperienza che non riguarda solo la singola persona, ma la comunità. Nella spiritualità dell’unità il soggetto dell’esperienza torna a essere la Chiesa (l’Anima), come nell’esperienza dei due di Emmaus: «Non sentivamo (plurale) come un fuoco nel cuore, quando egli lungo la via (“Gesù in mezzo”) ci parlava e ci spiegava la Scrittura?». La stessa Pentecoste fu un’esperienza dello Spirito fatta in comune.

L’8 novembre 1950, Chiara parla di questa nuova spiritualità come di un «Castello esteriore in cui Dio è fra noi». Un castello che ricorda il tempio dello Spirito di cui parla la prima lettera di Pietro, dove ognuno è una pietra viva. L’immagine deve esserle venuta in mente leggendo il Castello interiore di Teresa d’Avila. Quando il 2 dicembre 2002 Chiara visita il convento dell’Incarnazione ad Avila, nel libro d’oro lascia scritto: «Grazie S. Teresa, di tutto quanto hai fatto per noi durante la nostra storia. Grazie!… Continua a vegliare su tutti noi, sul nostro Castello esteriore che lo Sposo ha suscitato sulla terra a complemento del tuo Ca-stello interiore, per la Chiesa bella come la desideravi». Una spiritualità, quella di Chiara, che è insieme continuità e novità nella vita della Chiesa.

Gustare il Paradiso

«Dio che è in me, che ha plasmato la mia anima, che vi riposa in Trinità (con i santi e con gli Angeli), è anche nel cuore dei fratelli. Non è ragionevole che io Lo ami solo in me… Dunque la mia cella… il mio Cielo, è in me e come in me nell’anima dei fratelli. E come Lo amo in me, raccogliendomi in esso – quando sono sola –, così Lo amo nel fratello quando egli è presso di me».

Amare l’altro, perché anche nell’altro vive lo stesso Dio che vive in me. È la via per “dilatare” l’interiorità, per costruire il Ca-stello esteriore, per promuovere la fraternità universale, per giungere all’unità.


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