giovedì 1 novembre 2018

Beatitudini e santità



Perché nella festa di Tutti i Santi la liturgia ha scelto di leggere il vangelo delle beatitudini?
Forse per indicare che la santità è un dono.
Essa – espressa come regno dei cieli, consolazione, sazietà, visione di Dio – è donata a persone che sono nella penuria, nella sofferenza, nell’ingiustizia, nella persecuzione; che non sono violente e che non hanno pretese; che non vanno alla conquista con presunzione; persone miti, povere, pure di cuore…

Nel giorno della commemorazione dei defunti il volto dei beati acquista il volto mite del mio babbo.
Mite perché sapeva stare al gioco di noi piccolini che ogni sera ci nascondevamo sotto la tavola al suo rientro a casa dal lavoro. Ci piaceva sentirlo allarmato dalla nostra scomparsa, forse mangiati dal lupo, e ci piaceva soprattutto saltargli alle gambe per farci sentire vivi e gioire della sua gioia nell’averci ritrovati.
Mite perché ha affrontato le traversie della vita senza mai un lamento, anzi con fede profonda e senso di gratitudine. La prima grande prova, che rimane nella memoria della nostra famiglia come un evento epico, sono state quelle interminabili ore in mare a seguito dell’affondamento della nave su cui viaggiava.
Mite nel modo con cui ha saputo affrontare la prova estrema, quella della morte, come mite agnello, senza un lamento.

Una mitezza evangelica la sua, che non aveva il sapore né della rassegnazione né della codardia, e che non lo ha esonerato dall’impegno civile, politico ed ecclesiale.
“Fatti e non parole” potrebbe essere il suo motto.

Beati, beati, beati…
Solo i piccoli sono grandi.
Solo gli ultimi sono i primi.
Solo i peccatori sono santi.


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