sabato 24 novembre 2018

Un regno di Verità e di Vita


Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per que­sto sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce» (Gv 18, 33b-37)

Gesù è re. Lo rivendica chiaramente, senza reticenze, pur sapendo che, frainteso, la sua ammissione lo avrebbe portato alla condanna. Nello stesso tempo afferma la differenza della sua regalità. È re, ma non di questo mondo. Lo ripete a scanso di equivoci: «il mio regno non è di quaggiù».
I regni di questo mondo si edificano con la guerra, con le uccisioni. Ne sono prova l’impero di cui Ponzio Pilato, davanti al quale Gesù dona la sua testimonianza, è il rappresentante. Ne è prova il regno di Erode, di cui, proclamato re dei Giudei, Gesù sarebbe l’usurpatore.
Il regno di Gesù non si conquista uccidendo, ma dando la vita.
I regni di quaggiù si mantengono con il potere, il suo con il servizio.
Gli altri non possono fare a meno dell’arroganza, della superbia, mentre il suo si fonda sull’umiltà, sull’ambizione all’ultimo posto. Gesù vive per primo quanto richieda a quanti entreranno a farvi parte. A loro insegni che i potenti delle nazioni le dominano «e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10, 42-45).

La Chiesa, segno del Regno, è chiamata a seguire il suo Re nell’attuazione di questo programma: né fasto né autoritarismo, né pretese né ingerenze politiche, consapevole che la sua identità non è modellata sui regni di questo mondo, ma sulla tua regalità «di verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, di amore e di pace» (Prefazio).
Non potrebbe essere questo un programma anche per i regni di questo mondo? L’insegnamento di Gesù e il suo esempio non potrebbero ispirare anche la politica di quaggiù? I “ministri” potrebbero diventare quello che dice il loro nome, servitori del popolo. La politica, dal capo dello Stato all’ultimo amministratore comunale, potrebbe aspirare a farsi sempre più attenta alle necessità di ogni singolo cittadino, a mettere da parte il proprio interesse, a promuovere il bene comune con creatività e intelligenza. Così l’economia, la finanza.
Non potrebbe il regno “di quaggiù” ispirarsi al Regno di Dio, dove c’è più gioia nel dare che nel ricevere, dove si ama l’altro come se stesso, dove il piccolo, il povero, il disoccupato, l’ammalato è collocato al primo posto? Perché pensare – ed è un’eresia – che il vangelo riguardi soltanto il mondo spirituale? Perché rifiutare la sua incidenza nell’ambito sociale, politico, economico? Soltanto Gesù svela completamente l’uomo a se stesso, rendi nota la dignità umana, orienti la storia e le dà compimento, perché egli è la Verità. Qui sta la novità della regalità di Cristo: è venuto a rendere testimonianza alla verità.

«Cos’è la verità?», gli avrebbe chiesto subito dopo Pilato. Se avesse atteso la sua risposta, o se solo lo avesse guardato con occhio puro, avrebbe compreso che la Verità gli stava davanti. Una verità non fredda e astratta, ma capace di dare vita; non una verità chiusa in se stessa, ma capace di indicare il cammino che porta alla vita: «Io sono la via, la verità, la vita».
Gesù solo hai parole di vita, egli solo può dirci come vivere questa nostra vita, non soltanto quella dello spirito, ma anche quella sociale, economica, politica; egli solo può aprire la via e accompagnarci nel cammino verso il Regno dei cieli.


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