martedì 20 novembre 2018

L’amicizia di Enrico Tempier / 2



L’affetto e la fiducia in de Mazenod hanno avuto un effetto positivo su Tempier, che è sempre stato profondamente attaccato al suo superiore e amico, e gli è stato interamente devoto. Molto meno emotivo, la sua amicizia è più effettiva che affettiva, il che causerà anche fraintendimenti e sofferenze a sant’Eugenio
Il tono della prima lettera di Tempier, il 27 ottobre 1815, è un po’ distaccato: «Signore e caro collega»; più cordiale nella seconda: «Santo amico e vero fratello, non so come essere grato per tutto ciò che avete fatto per la mia salvezza. Siete veramente il più caro amico del cuore». In seguito l’espressione dell’amicizia si fa più discreta. La naturale riservatezza gli consente di manifestare i suoi sentimenti profondi solo in occasioni eccezionali. In un momento di sofferenza a N.-D. du Laus, nel 1819, confessa che il suo cuore «soffre sempre», che sente «un dolore eccessivo... nell’essere separato» dal padre di Mazenod; le sue lettere gli «danno la vita», le sue parole sono «un balsamo che riscalda» il cuore. Quando partì per il Canada, nel 1851, trovò il coraggio di confessare: «Ero in un tale stato emozionale al momento in cui stavo per separarmi da voi e da quello che ho più caro al mondo... che non potevo avere la mente negli affari...».

Ciò che padre Tempier non poteva esprimere a parole, lo tradusse in azione, con la sua devozione e dedizione quotidiana.
È il saggio consigliere e l’instancabile collaboratore, l’ammonitore e il confessore. De Mazenod e Tempier avevano fatto il voto di obbedienza reciproca davanti all’altare della riposizione del Santissimo Sacramento, il Giovedi Santo 11 aprile 1816.
Padre Tempier ha obbedito al Fondatore, sempre e ovunque, al servizio della diocesi e della Congregazione. Nello stesso tempo ha dovuto esercitare su di lui l’autorità che il voto, oltre alla funzione ufficiale di consigliere, gli imponeva. E lo ha fatto in molte circostanze. Nel 1830, il 6 giugno, gli scrisse una lettera con aspri rimproveri: «Sono molto dispiaciuto. Ho fatto di tutto, come ammonitore e persino come direttore o confessore, perché smetteste di digiunare, e Dio sa che avevo ragione; ma tutte le mie osservazioni e preghiere sono state completamente inutili... Mi sento obbligato ad esprimervi per iscritto tutto il mio dispiacere. Dopo di che, se non avrò successo, lo renderò noto agli assistenti della Società», e gli impone un lungo periodo di riposo in Svizzera. Imporrà altri periodi di riposo nel 1837, poi nel 1858.
Sarà ancora grazie all’autorità del suo ammonitore che il vescovo di Mazenod inizierà a tenere il suo diario dal 1837.

Come confessore e direttore spirituale Tempier ha ricevuto anche profonde confidenze: la grazia del 15 agosto 1822, le consolazioni durante la Messa celebrata a Roma il 4 marzo 1826, le aspre considerazioni sullo stato della Congregazione, il 1 ° agosto 1830 da Friburgo, sfoghi riservati a Tempier per il quale non teneva «nascosto nulla». Ancora: le disposizioni interiori alla vigilia della sua consacrazione nel 1832, le consolazioni durante una messa celebrata ad Amiens nel 1850, o durante le visite alle chiese di Marsiglia, dove era esposto il Santissimo Sacramento. 

Padre Tempier gli amministrò il sacramento degli infermi il 13 giugno 1829 e gli fu vicino durante tutta la malattia nella primavera del 1861, rimanendo accanto al suo letto con pazienza e affetto. 
Padre Fabre, testimone di questo fatto, scrive: «Per cinque mesi non si allontanò da quel letto doloroso in cui si stava lentamente consumando una così bella esistenza. Fedele al mandato dell’amicizia cristiana, rese al nostro Padre il supremo dovere e lo avvertì coraggiosamente che il momento del sacrificio finale era arrivato. Non dimenticheremo mai queste scene strazianti dell’ultima separazione, segnate dalla maestà dell’augusto carattere del Padre morente e dalla profonda rassegnazione del discepolo desolato. (…) Ha ricevuto l’ultimo sospiro, ha ascoltato l’ultima preghiera. Fu lui a pronunciare l’ultimo addio: proficiscere. (...) Chiuse gli occhi al padre e all’amico che aveva amato e servito per più di quarantasei anni. Sapeva come dominare l’emozione più viva e profonda per adempiere a tutti i doveri imposti dalla separazione. L’abbiamo visto e l’abbiamo ammirato».



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