Ungaretti,
il mio poeta più caro. Oggi ho scoperto che mia mamma ha letto la prima poesia
di Ungaretti nel 1937. Da una soffitta è saltato fuori miracolosamente il suo
libro di lettura della quarta elementare. Tra la prima parte dedicata all’etica
fascista, focalizzata nel binomio libro e moschetto, e la seconda parte
dedicata alla vita di Mussolini e al suo triste momento passato nel collegio
dei Salesiano a Forlì, appare, inaspettatamente, una poesia di Ungaretti, o
meglio, una parte della poesia “I Fiumi”, relativa all’Isonzo, apparsa pochi
anni prima, nel 1931, nella raccolta “L’allegria”:
Stamani mi sono
disteso
in un’urna d’acqua
e come una reliquia
ho riposato
L’Isonzo scorrendo
mi levigava
come un suo sasso
Ho tirato su
le mie quattr’ossa
e me ne sono andato
come un acrobata
sull’acqua
Mi sono accoccolato
vicino ai miei panni
sudici di guerra
e come un beduino
mi sono chinato a ricevere
il sole
Agli estensori dell’antologia era forse sfuggito il senso
antibellico della poesia, il desiderio di purificazione dai dolori e dalle brutture
della guerra, in aperta antitesi con la mistica fascista. Mentre mi pare voluta
l’eliminazione dell’ultima strofa di questa parte della poesia riguardante ancora l’Isonzo:
Questo è l’Isonzo
e qui meglio
mi sono riconosciuto
una docile fibra
dell’universo
Qui
Ungaretti mostra inconfondibilmente se stesso, un uomo dal respiro grande,
universale, che si riconosce fibra dell’universo. Questo era troppo per un libro
che doveva suscitare nei ragazzi di quarta elementare amor patrio e odio verso
il nemico di altre patrie. Tra i suoi quattro “fiumi” Ungaretti, oltre al
Serchio e all’Isonzo, ricorda anche l’egiziano Nilo e la francese Senna, e se
la poesia l’avesse scritta più tardi avrebbe forse incluso anche il Tietê di
San Paolo del Brasile, dove ha vissuto e insegnato per sei anni.
Ci
si può immergere in ogni fiume, d’ogni popolo e nazione, ed ognuno ha una sua
benefica azione che può “levigare come un sasso” e dare il senso d’appartenenza
a ogni popolo e nazione.
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