padre Paul Decock |
Correva l’anno 1943. Dopo quasi 100 anni dal loro arrivo in Sud Africa, gli Oblati decisero di aprire il seminario di teologia. O meglio, vi furono costretti dalla guerra: fino ad allora mandavano gli scolastici in Lesotho, Francia, Irlanda, Sri Lanka, Roma, ma ora non potevano più mandarli all’estero. Dopo varie peregrinazioni, nel 1953 lo scolasticato trovò la sua residenza finale a Cedara, in aperta campagna, lontano dagli occhi della polizia, perché allora non potevano abitare insieme bianchi e neri.
Nel 1990 ci fu la separazione tra la comunità dello scolasticato e l’istituzione accademica. Nel 1981 vi era già stata l’affiliazione all’Università Urbaniana di Roma. Nel 2004 distacco dall’Urbaniana e inserimento nel sistema nazionale del governo sudafricano.
Il nostro Istituto fa parte di un gruppo di istituti e dell’Università di KwaZulu-Natal presenti sul territorio, di varie denominazioni e Chiesa, uniti in molti progetti di studio e pubblicazioni.
A raccontarci tutto questo, e altro, padre Paul Decock. Iniziò a insegnare all’istituto St. Joseph 42 anni va, ed è considerato la roccia che dà continuità e stabilità all’istituzione. Biblista di fama è stato, fino a poco tempo fa, presidente della società biblica sudafricana. Non è soltanto un professore, ma anche formatore e direttore spirituale. Venne da lui l’idea di distinguere la formazione degli studenti Oblati dall’insegnamento accademico. È quindi lui all’origine dell’attuale Istituto teologico, distinto appunto dallo scolasticato, permettendo così ad altri istituti religiosi di venire alla scuola di teologia degli Oblati. Quest’anno vi sono 241 studenti, di 25 differenti nazioni, 15 congregazione maschili e 13 femminili, 5 diocesi.
Il convegno dell’Associazione degli Istituti superiori degli Oblati procede a gonfie vele. Nella mattinata e nel pomeriggio ho parlato e discusso con i rettori sull’incidenza del carisma nell’identità delle nostre università e Istituti teologici. Sono istituzioni “oblate”, ossia, come dice la parola stessa, completamente al servizio della Chiesa e della società nella quali esse operano. Vivono tutte proiettate fuori, come autentico ministero oblato. Ma per essere tali devo curare la coscienza del loro essere appunto realtà oblate. Di qui la necessità di promuovere lo studio, la ricerca, le pubblicazioni sulla storia, la spiritualità, la missione degli Oblati. Questo serve a loro per assicurarne l’identità e serve agli Oblati perché chi meglio di queste istituzioni può fare questo lavoro? Fino a questo momento i nostri centri di studio hanno pensato agli altri e non a se stessi. Il tempo è venuto di studiare e salvaguardare le proprie radici. (Appunti della mia conversazione di oggi: leggi qui)
Ogni famiglia, come ogni istituzione, conserva la sua identità nella misura in cui sa raccontare la propria storia e mantenere viva la memoria del passato. Per questo oggi non posso non ricordare l’anniversario della morte del mio babbo Leonello. La sua eredità di una vita semplice, onesta, profondamente religiosa fa parte della mia vita e della vita della mia famiglia. Uno solo dei suoi pensieri:
Gesù non poté fare da solo l’opera della redenzione, ma tutta la Sua vita fu coinvolta col popolo e tutti furono protagonisti, chi in bene chi in male.
Dicendo: “Sarò con Voi fino alla fine del mondo; manderò Voi a nome mio; fate questo in memoria di me”, vuole coinvolgere anche noi nella Sua opera redentrice. Ha bisogno di Apostoli per la diffusione del Suo Regno in ogni parte del mondo; di anime che lo ascoltano, lo comprendono, lo amano, lo consolano nell’angoscia: “Restate qui e vegliate con Me”.
Allora aveva bisogno di Pietro, Giacomo e Giovanni, oggi ha bisogno di noi.
Noi siamo Pietro, Giacomo e Giovanni; se vogliamo possiamo consolare Gesù.
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