mercoledì 30 aprile 2025

I Racconti di Fonjumetaw



Tanti ormai mi conoscono per nome, specialmente i bambini, che incontro mentre vanno o ternano da scuola: spuntano dalla boscaglia per salutarmi e darmi la mano. Sono la ricchezza più bella di questo popolo. Sempre seri e timidi, basta un nulla per vederli sorridere. Qualcuno dei più piccoli ha un po’ di paura nel vedere un bianco. Da quando sono salito in aereo ad Addis Abeba sono infatti una mosca bianca: oltre a Celso non ho ancora visto un altro bianco.


Celso qua è un mito. Tanti vengono a salutarlo, da soli, in gruppo, spesso con doni di verdure, uova, bottiglie di acqua, frutta… E iniziano i ricordi belli del passato e quelli terribili della guerra, con soldati che sono piuttosto banditi selvaggi e indemoniati che hanno fatto (e fanno) le più peggio cose. Quanti racconti di sofferenze subite. Tutti i preti della regione sono fuggiti, così come molte persone. L’unico che è rimasto è stato p. Joseph, l’Oblato di Fonjumetaw, a rischio della vita. È era riuscito ad avere tutti i permessi dai militari per spostarsi in ogni villaggio e così sostenere la gente rimasta e infondere un po’ di fiducia e speranza.

Il nuovo Oblato, il nostro giovanissimo p. Michael, nigeriano, in poco tempo è riuscito a farsi amare da tutti e a riportare le persone in chiesa. Passiamo delle ore ad ascoltare Celso, un archivio storico vivente, che racconta storie su storie, rispondendo alle continue domande ci p. Michael che vuole sapere come è nata quella missione, quell’altra, come erano i rapporti con i capi tribali, come avvenivano le conversioni, quali sono i confini dei terreni, le proprietà degli edifici… È bello vedere come un giovane interroga l’anziano e si mette alla sua scuola.

Intanto è pronta una seconda edizione dei “Racconti di Fonjumetaw”, il libro nel quale Celso racconta alcune delle storie straordinaria della sua opera di evangelizzazione.

Oggi saremo dovuti scendere a Fontem, nonostante le pessime condizioni della strada, ma la macchina è in panne e un meccanico sarebbe dovuto venire in moto, ma qui non è tutto è così facile, ci vuole pazienza… E una volta arrivato che si fa se mancano i pezzi? È arrivato anche il direttore della scuola per una consulenza  



Intanto godiamo il primo giorno interamente soleggiato, senza nebbie né piogge.

 

martedì 29 aprile 2025

Il germogliare della fede lento e sostenuto

Ogni lunedì si formano piccoli gruppi nelle case per leggere insieme il vangelo della domenica successiva e per capire come viverlo. P. Michael mi porta a visitare alcune di queste micro comunità. Entriamo in una casa tipica, costruite con blocchi di creta. Al centro della stanza il fuoco. Quattro donne ci accolgono con calore. Domando qual è il frutto della loro condivisione sul vangelo: “Abbiamo capito che dobbiamo amare di più i nostri vicini”. Concrete queste condivisioni del Vangelo!

In un’altra casa c’è la famiglia di uno dei Fon che ha dato la terra per la missione. È morto qualche anno fa e rendo omaggio alla sua tomba accanto all’abitazione. Qua non è arrivata la legislazione napoleonica e i morti spesso si seppelliscono attorno alla casa; anche accanto alla prima chiesetta di Fonjumetaw ci sono dei tumoli di terra che mi vengono indicate come le sepolture di alcuni vicini.

Riprendiamo le visite alle missioni. Quando Celso venne qua nel 1976 c’erano sei stazioni missionarie, quando partì, 24 anni più tardi, erano già quarantadue; alcune di queste nel frattempo sono diventate parrocchie.

Le piste sono impossibili: buche, pietre, fango… Non abbiamo un fuoristrada o una trazione a quattro ruote; la macchina della missione è stata portata razziata durante la guerra. Quella che ci hanno prestato per questi giorni è un’auto comune, scassatissima (e vedendo queste strade si capisce perché); per fortuna la prima marcia è formidabile; ci vuole tutta la bravura e la forza fisica di p. Michael per affrontare il viaggio. Un tempo Celso era obbligato ad andare a cavallo.

Prima missione: Mmockmbie (dicono semplicemente Mambi), con la chiesa costruita da p. Celso. In questi anni la comunità è cresciuta e non lontano è stata costruita un’altra grande chiesa. Ci raggiunge il parroco, un nigeriano, con i catechisti del tempo di Celso. Che festa! Si vede che hanno condiviso tanti anni di lavoro insieme. 

Ci spostiamo alla parrocchia, dove ci attendono altre persone, che non immaginavano di poter vedere ancora il loro padre… Visitiamo il liceo, dove l’ultima classe sta preparando gli esami di maturità.


Il parroco offre il pranzo a tutti. Non mi è facile seguire i colloqui, ma si rievocano tanti episodi che hanno segnato la storia dell’evangelizzazione di queste diverse etnie. In ogni villaggio gli inizi sono stati difficili, poche persone si avvicinavano, poi la fede esplodeva come d’incanto e nasceva la Chiesa…  “è come quando mette nella terra un piccolo seme – mi spiega un anziano catechista –; all’inizio non si vede niente, ci vuole pazienza, fede, poi piano piano spunta un filino d’erba… Ora p. Celso viene a vedere come sono cresciute la piante seminate”.


Al ritorno un’altra chiesa costruita da p. Celso: Mendia. Ad attenderlo un altro vecchio catechista, con la gambe mezzo paralizzate: un altro momento di festa e di gioia.

La vita va avanti.






lunedì 28 aprile 2025

Due noci di cocco



Dopo la messa una squadra di donne pulisce la chiesa e una squadra di ragazzi la casa parrocchiale: sembra stiano partecipando a una festa!



Continua la visita alle opere della missione: l’officina meccanica, la diga e la condotta per l’acqua… Tutto allo sfascio: la guerra, la mancanza di manutenzione… Celso non sembra impressionato come invece lo sono io; è abituato a vedere la decadenza delle opere costruite con tanti sacrifici e con l’apporto di tante persone venute come volontari dall’Italia. 


Il centro medico, che funziona soprattutto come maternità, è ancora aperto, ma visto con gli occhi di un occidentale come me… In compenso p. Michel ha messo su l’allevamento di polli, di maiali e presto di pesci. Si fa quel che si può.

Visita alla missione di Letia. Andiamo con l’auto che è stata prestata alla missione per questi giorni, tenuta su con i chiodi… ma intanto va avanti su e già per queste piste impossibili.

Celso racconta le storie di questa chiesetta e di questo villaggio. C’è stata anche una contesa con i confinanti. Nella scuola del paese il Fon – il capo – tenne il processo davanti a tutta la gente. Dopo aver esaminato le carte e ascoltato i testimoni, il fon emise il verdetto a favore di Celso. Grande battito di mani e grida di gioia da parte della gente. “Hai vinto – dice il Fon – ma adesso devi acquistare una cassa di birra e dare da bere a tutti”. Quello che aveva perduto la causa si alza: “Sono dispiaciuto di aver perso la causa, ma prometto di dimenticare tutto e di non creare problemi per il futuro, e anch’io offro una cassa di birra per tutti”.




Andiamo dunque al palazzo del Fon, che è morto da pochi mesi. La moglie ci accoglie con grande festa. Visitiamo la tomba, dietro casa, e ci intratteniamo un momento nella sala del trono. Ci congeda donandoci due noci di cocco. 



domenica 27 aprile 2025

Domenica: giorno di festa!

Cammino su queste piste di terra rossa e mi guardo attorno, stregato dal panorama, nuovo a ogni curva. Fa fresco e si alternano rapidamente pioggia, sole, vento… Ogni tanto una moto stracarica di persone e di cose. Qualche persona che va chissà dove…

Come gli altri villaggi di montagna anche Fonjumetaw è composto da tante case sparse su una vasta area, nascoste nella boscaglia, in mezzo alle piantagioni. Case rudimentali e compound più complessi, costruiti con mattoni di argilla e coperti con lamiera. Attorno piantagioni di mais, fagioli, casava, cocoyam, patate… Chi mi vede sale sulla strada, mi saluta… Attorno tutto molto verde, con palme dei più vari tipi, eucalipti e molti altri alberi tipici, che richiamano i nostri pruni, carpi… Circa 4.000 le persone, ben mimetizzate.


Il centro del villaggio? Non c’è! Il tradizionale luogo d’incontro è il mercato che si tiene ogni otto giorni. Adesso però il luogo dove è sorta la missione, con la casa degli Oblati, la chiesa, il dispensario, la scuola materna, il liceo, è diventato un po’ il punto di riferimento. È considerato un luogo sicuro, per questo c’è anche la stazione delle moto-taxi. Sulla strada di notte si accende l’unico lampione con la luce. C’è un locale che richiama il bar e un paio di boutiques dove si può comunque bere birra. Da qui a chiamarlo “il centro”… anche perché qua non c’è l’idea del centro, neppure nelle città…


Ma oggi è domenica e mi immergo nella festa.


Tre quarti d’ora prima della messa le persone giungono alla spicciolata. Scendono dalla strada principale, dove sorge la prima chiesa costruita da Celso, giunge alla grande chiesa inaugurata 25 anni fa, entra, si siede è rimane tranquilla in preghiera. Mi colpisce la varietà dei colori accesi con cui le persone sono vestite a festa. Il coro è ben agguerrito e guida i canti lungo tutta la messa.



Ed ecco la sorpresa: oggi ci sono due battesimi. Io battezzo Michele, mentre Censo battezza Natale: dono di Dio, festa nella festa.



Dopo più di due ore tutti escono sulla piazza e si ritrovano a parlare a crocchi, lentamente risalgono sulla strada principale, si soffermano al “centro”…



Sì, è proprio festa!



sabato 26 aprile 2025

Il “popolo santo di Dio” di papa Francesco




Dopo i primi 100 giorni di pontificato di papa Francesco annotavo una serie di gesti che mi avevano particolarmente colpito: la visita ad un cardinale amico ricoverato in ospedale, la lavanda dei piedi ai giovani carcerati, tra cui una ragazza musulmana, con un’omelia di tre minuti, la vicinanza fisica alla gente, la messa quotidiana con il personale del Vaticano, cominciando dai netturbini… Scendere dalla camionetta per abbracciare un paralitico, mettere il ciuccio in bocca a un bambino che piange impaurito...

Gesti – scrivevo – che non si improvvisano, ma che gli sono diventati abituali nel lungo esercizio di una vita. Sono gesti, questi, che parlano più delle parole, o che danno sostanza alle parole.

Con i gesti le parole, che da quelli acquistano una nuova credibilità. Parole chiave tornano di frequente nei suoi discorsi. Al termine dei fatidici 100 giorni raccoglievo le prime.

“Novità”, a indicare la volontà di mantenersi aperti e fiduciosi in quelle che chiama le “sorprese” di Dio nella storia. È l’invito a non avere paura, a guardare al futuro, a lasciarsi guidare dallo Spirito che “spinge la Chiesa ad andare avanti”, evitando di “addomesticarlo”, e di ripudiare la “novità” conciliare.

 “Rispetto e dialogo”. Il giorno stesso della sua elezione ha scritto al rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, invitandolo all’inaugurazione del suo pontificato e affermando di voler “contribuire al progresso che le relazioni tra ebrei e cattolici hanno conosciuto a partire dal Concilio Vaticano II, in uno spirito di rinnovata collaborazione e al servizio di un mondo che possa essere sempre più in armonia con la volontà del Creatore”. Stessa apertura verso “la promozione dell’amicizia e del rispetto tra uomini e donne di diverse tradizioni religiose”. Rispetto e dialogo si sono fatti gesto eloquente nel primo incontro con i giornalisti: imparte una benedizione soltanto con il cuore “rispettando la coscienza di ciascuno, ma sapendo che ciascuno di voi è figlio di Dio”. Nel libro intervista curato da Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti, Bergoglio affermava: “La cultura dell’incontro è l’unico modo di far andare avanti la famiglia e i popoli”.

“L’odore delle pecore” è un’altra delle parole fortunate rivolta ai sacerdoti il giovedì santo invitandoli a vivere in mezzo alla gente. Abbiamo un papa che ha addosso l’odore delle pecore.

Di qui altre due parole eloquenti ripetute all’infinito: “uscire” e “periferie”, andare incontro agli altri lì dove essi vivono, nelle periferie fisiche ed esistenziali. Il Papa rilegge la parabola di Luca con una nuova attuale matematica: non ci sono più 99 pecore nell’ovile e una smarrita che occorre andare a cercare; nell’ovile ne è rimasta una soltanto, le altre 99 sono fuori ed è inutile stare a “pettinare” l’unica rimasta: “uscire da noi, come Gesù, come Dio è uscito da se stesso in Gesù e Gesù è uscito da se stesso per tutti noi”.

Questa che ho copiato è la presentazione di un mio libretto del 2021, quando raccolsi alcuni brevi appunti di suoi gesti e parole, annotati in maniera non sistematica, lasciandomi guidare dalle occasioni: "Parole e gesti di papa Francesco". Il cardinal Del Re, nell’omelia per il funerale di papa Francesco – che ho potuto seguire anche da qui in Cemeroun –, ha ricordato molti altri suoi gesti e molte altre sue parole mostrandoci la su grandezza e la sua vicinanza.

Tra “parole” di papa Francesco da me raccolte, mi piace rileggere “popolo”:

Parola a rischio di fraintendimenti. “Popolare” indica sovente le classi sociali meno elevate, socialmente e culturalmente svantaggiate, oppure qualità di poco valore. “Populismo” richiama un atteggiamento politico che tende a manipolare per propri interessi. Il termine “popolo”, ricco di valori antropologici, civili, spirituali è svilito. Sulla bocca di papa Francesco riacquista il senso della tradizione biblica e teologica.

Il “cammino sinodale”, chiesto a tutta la Chiesa, non potrà essere percorso se non individuiamo chiaramente il soggetto di tale cammino: l’intero “popolo di Dio”, che non è sinonimo – altro fraintendimento – di laici. Esso è composto da tutti i diversi soggetti ecclesiali, dal Papa ai laici, tutti “fedeli” per il battesimo e la partecipazione al sacerdozio comune. Soltanto così si può instaurare una “comunione” autentica, con relazioni orizzontali, davvero fraterne, che superi una visione di Chiesa piramidale.

«Avete sperimentato – rilevava il Papa parlando ai giovani italiani riuniti al Circo Massimo a Roma – quanto costa fatica accogliere il fratello o la sorella che mi sta accanto, ma anche quanta gioia può darmi la sua presenza se la ricevo nella mia vita senza pregiudizi e chiusure. Camminare soli permette di essere svincolati da tutto, forse più veloci, ma camminare insieme ci fa diventare un popolo, il popolo di Dio. Il popolo di Dio che ci dà sicurezza, la sicurezza dell’appartenenza al popolo di Dio… E col popolo di Dio ti senti sicuro, nel popolo di Dio, nella tua appartenenza al popolo di Dio hai identità. Dice un proverbio africano: “Se vuoi andare veloce, corri da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme a qualcuno”» (11 agosto 2018).



venerdì 25 aprile 2025

Una gallina per p. Celso


La giornata inizia con la messa. Una cinquantina i presenti. Cantano come nei giorni di festa. Poi i saluti sulla piazza.

Visita alle scuole. Innanzitutto la materna, di fronte alla chiesa, con una novantina di bambini tutti raccolti in un’unica sala con tre maestre. Entriamo e li troviamo tutti silenziosi, seduti in bell’ordine… 






Proseguiamo fino al liceo; le attrezzature sono al minimo, praticamente inesistenti, ma intanto c’è! 






Camminiamo sotto un bel sole, circondati dal verde, sulle strade-sentiero di terra rossa. Ed eccoci alla scuola elementare: sei classe con duecentoquaranta alunni. Sono molto rinomate: in quarta già sanno leggere e scrivere! Però la struttura è al collasso e i maestri ricevono uno stipendio da miseria (anche se non lo ricevono da due mesi) eppure continuano l’insegnamento perché fortemente motivati: sono i loro figli! I contributi delle famiglie coprono un terzo delle spese e la missione è poverissima, al penultimo posto tra tutte le parrocchie della diocesi.






Scendiamo infine alla centrale idroelettrica, una delle opere d’arte di Celso. Purtroppo non funziona più perché è mancata la manutenzione e qualche pezzo è misteriosamente sparito. Presto verranno dalla Germania per rimetterla in funzione.



P. Michel fa miracoli. È solo, con uno scolastico in stage. La missione al momento non può sostenere un secondo Oblato. Ha una macchina ma è fuori uso, comunque si muove con una moto rossa fiammante e visita regolarmente le cinque missioni affidate alla parrocchia. Una è raggiungibile solo a piedi: due ore di andata e tre di ritorno per la salita ripidissima.



È arrivato dopo il Covid, ma soprattutto dopo la guerra che ha portato distruzioni, case incendiate, uccisioni, violenze d’ogni tipo. Tanti sono dovuti scappare e hanno lasciato il villaggio per sempre. Bisogna ricominciare tutto da capo. P. Michel ha iniziato a visitare famiglia per famiglia, a ricreare fiducia, a coinvolgere tutti il più possibile rendendo ognuno responsabile, dando fiducia… Adesso sono seicento le persone che hanno ripreso a frequentare la chiesa regolarmente.



Alla porta di casa molti bussano in continuazione, chi per una cosa chi per un’altra; non fosse altro che per chiedere di caricare il cellulare con l’elettricità che qui è assicurata dall’impianto dei pannelli solari.

A sera una signora viene per regalare un pollo a p. Celso. Tanti lo salutano: ha sposato i genitori, ha battezzato i figli, ha fatto questo, ha fatto quello… C’è un bel ricordo e una grande riconoscenza.



A sera si leva la nebbia e tutto sfuma lentamente. Si torna a casa, le ragazze con fasci di legna sulla testa, i ragazzi con una tanica d’acqua e bambini con una solo bottiglia… tutto rigorosamente sulla testa: sicuri che non casca. E scende il silenzio e il buio fitto e un gran senso di pace.