Siamo asserragliati da problemi di portata immane, che ci lasciano con il fiato sospeso: la guerra alle porte di casa, il disastro nipponico, le migrazioni, una inaudita tensione nella vita politica italiana… Problemi veri, drammatici, di cui non possiamo disinteressarci, ai quali ognuno di noi, in un modo o in un altro, deve contribuire per trovare una risposta. Tuttavia i media li esasperano e li martellano ogni giorno in maniera talmente ossessiva da correre il rischio di creare una psicosi, fino alla paralisi del terrore, al rifiuto, alla rimozione. L’esatto contrario di quello che tutti vogliamo.
In questo periodo, come cittadino romano, mi sono trovato a vivere momenti di serenità e di distensione, mille miglia lontani dalle allarmanti incognite nazionali e dalle tragedie mondiali.
Il 16 marzo ho passeggiato con migliaia di persone per le strade del centro, per una “notte bianca” ricca di eventi celebrativi del 150° dell’unità d’Italia. Incuranti di una pioggia che scrosciava a dirotto, abbiamo goduto della lettura di Dante, della banda dei carabinieri che ci suonava stranote marce patriottiche, dei musei aperti per farci ammirare Chagall e Lorenzo Lotto, della visita al Parlamento... Ma soprattutto quel camminare per il Corso o fermarsi ad applaudire alle foto della nostra storia proiettare sulle pareti dei palazzi, esprimeva in modo eloquente il bisogno di socialità, di riconoscersi nell’appartenenza a un popolo, la fierezza ritrovata al di là della solita nostra tendenza ad auto denigrarci.
Domenica 20 marzo sono di nuovo per le vie del centro per la maratona cittadina. A fianco della corsa agonistica, quella alternativa con un 100.000 persone che percorrono un itinerario più modesto, quanto basta per riappropriarsi della città. Sotto un sole ormai primaverile la folla si accende dei colori più svariati; vedi famiglie intere, con nonni e bambini in carrozzina, giovani innamorati che si tengono per mano e perdono il ritmo del cammino per un bacio fugace, ragazzini eccitatissimi che corrono avanti e indietro per poi issarsi sulle spalle dei genitori… Lungo l’itinerario una banda che suona l’inno di Mameli, le danze di un gruppo folcloristico regionale, l’orchestrina jazz…
Dove sono finiti i grandi problemi? Sono stati ingiustamente rimossi? Guardandomi attorno mi pare di capire che c’è una grande voglia di normalità, di ritrovare il gusto per una vita semplice, di stare insieme, di sentirsi solidali, un’inconsapevole ed esigente bisogno di unità. Soltanto partendo da una “sanità” di popolo, da una ritrovata fraternità, da una maggiore stima di sé anche come nazione, si possono affrontare prove personali, familiari, fino alle terribili tragedie dell’umanità.
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