mercoledì 20 aprile 2011

Le prime e le ultime parole di Gesù / 2

Propaganda Fide
sala dei congressi

Quali le ultime parole di Gesù?
Per Giovanni esse sono: «Tutto è compiuto» (19, 30). Telein: Gesù ha condotto fino al limite estremo (telos) il suo amore: «lì amò sino alla fine», fino in fondo, fino all’ultimo. Il compito che il Padre gli aveva affidato è stato condotto in porto in maniera stupefacente. È stato un cammino movimentato, pieno di imprevisti, ma Gesù ha compiuto l’obbedienza ed ha portato a termine la missione.
Per Luca le ultime parole sono: «Padre, nelle tue mani affido il mio spirito» (23, 46). Gesù è sereno, sapendo che tutto è compiuto; non gli rimane che consegnare la sua vita nelle mani di Dio, come già ha fatto dal primo istante della sua venuta nel mondo. È l’attimo estremo dell’obbedienza: rende a Dio lo spirito, il soffio vitale che gli ha donato all’inizio, rispondendo alla sua voce che lo richiama a sé, “nella serena convinzione di un compimento”, come scrive Gérard Rossé.
Per Marco e Matteo è diverso. L’ultima parola, non è più nemmeno una parola, ma soltanto un grido. Anabao, gridare, in Marco. In Matteo krazo, gridare, senza articolare parola, gridare semplicemente dal dolore, non per farsi sentire da lontano. È un grido che continua quello precedentemente articolato (“gridò di nuovo” dice Matteo): «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15, 34; Mt 27, 46). E qui si apre la voragine del mistero.
Quel grido ci lascia intuire fin dove può giungere l’adesione creativa e responsabile al progetto di Dio. Egli affida la missione di portare la Trinità sulla terra e la terra nella Trinità, ma cosa comporta questo passaggio?
Eravamo maledetti e per portarci la benedizione si è fatto lui maledetto: «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge, diventando lui stesso maledizione per noi, poiché sta scritto: Maledetto chi è appeso al legno» (Gal 3, 13).
Eravamo piagati e ci ha guariti con le sue piaghe: «Dalle sue piaghe siete stati guariti!» (1 Pt 2, 24).
Eravamo nemici di Dio ci ha portati ad essere suoi amici, ma gli è costata la vita: «quand'eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo» (Rom 5, 10).
Eravamo peccatori perché disobbedienti e per costituirci giusti si è fatto peccato; ha dovuto obbedire in maniera radicale come noi mai saremmo stati capaci: «Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti» (Rom 5, 19).
In una parola, per adempiere il volere del Padre e attuare il suo progetto «umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2, 8). La morte più terribile non soltanto perché la più violenta, ma soprattutto perché quella che, secondo la Legge, rendeva maledetto davanti a Dio.
Gli siamo costati cari, come due volte ricorda Paolo: «siete stati comprati a caro prezzo» (1 Cor 6, 20. 23). Il caro prezzo del riscatto, prova di autentica liberazione, è la morte di Gesù Cristo, come afferma esplicitamente Pietro: «Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia» (1 Pt 1,18-19). «In lui – leggiamo ancora nella lettera agli Efesini –, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia» (Ef 1, 7).
Ha portato a compimento la sua missione non nella forza, ma nella debolezza e la fragilità; non grazie al grande numero, ma nel momento dell’estrema solitudine; non nell’imposizione di un potere, ma nel servizio.
Così la Chiesa è chiamata a compiere la missione.
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Propaganda Fide
Con il Cardinal Dias
Le prime parole di Gesù coincidono con le ultime. Tutta la sua vita è sottesa tra un proposito di obbedienza e il suo piena adempimento. Il punto più alto del compimento è stato in quel grido che sembra porsi all’antitesi di quella che era a missione: rivelare Dio e mettere in comunione con lui, creare l’unità della famiglia umana.
L’annuncio sembra contraddetto dal grido inarticolato, la comunione dall’estremo abbandono, la luce dalla tenebra, l’unità dalla divisione e dalla solitudine.
Eppure quel grido, riportato da Matteo e Marco, coincide con l’affidamento e la consegna di sé al Padre, come in Luca; con il pieno compimento del mandato ricevuto nell’obbedienza più perfetta e nella sovrabbondante fecondità, come in Giovanni.
«Ecco, io vengo a fare la tua volontà… Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre» (Eb 10, 9-10)
Quell’offerta, ha spiegato Benedetto XVI ai parroci e ai sacerdoti della diocesi di Roma, 11 febbraio 2010, fa capire «che le lacrime di Cristo, l’angoscia del Monte degli Ulivi, il grido della Croce, tutta la sua sofferenza non sono una cosa accanto alla sua grande missione. Proprio in questo modo Egli offre il sacrificio, fa il sacerdote… questa è la realizzazione del suo sacerdozio, così porta l’umanità a Dio, così si fa mediatore, così si fa sacerdote».
Nell’adempiere la volontà di Dio e la missione che egli ci affida, nel dare la vita per i fratelli come Gesù e in Gesù, ognuno di noi può diventare sacerdote, portando la Trinità in terra e la terra nella Trinità.

Ho dato questa meditazione questa mattina a tutti i membri e al personale della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, a Piazza di Spagna.

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