A seguito della prima puntata apparsa sul Blog il 19 febbraio.
Nel quadro che ritrae p. Jean Bretault, in basso, si legge: “Si vis perfectus esse, veni sequere me”. Un latino facile, le parole che Gesù rivolse al giovane ricco: “Se vuoi essere perfetto… vieni e seguimi” (Mt 19, 21). Da questo invito di Gesù nasce ogni spiritualità, anche quella oblata. Una spiritualità è infatti un modo di seguire Gesù, una risposta alla sua chiamata: Vieni e seguimi.
Come si fa a sentire l’appello di Gesù? La vocazione, ogni vocazione, è una delle realtà più misteriose e più belle. Ognuno ha la sua storia segreta. Quale la storia del nostro padre Jean, o meglio Jean Maria Giuseppe Francesco, secondo il nome di battesimo? Ce lo racconta un altro Oblato, p. Paul Hally, che stette con lui alcuni mesi, dal luglio 1908 al gennaio 1909. Allora p. Jean viveva nel ranch de La Lomita e la sera, nel più assoluto silenzio della natura, aveva tutto il tempo per narrare a p. Paul come aveva sentito la voce del Signore e come aveva deciso di seguirlo.
Un cammino difficile e tenace - Era nato il 22 ottobre 1843 nel nord ovest della Francia, nell’antica regione della Lorena, a La Fournerie di Le Fief Sauvin, una località senza storia, a parte il terribile indimenticabile eccidio del 13 marzo 1794, quando le bande della rivoluzione francese trucidarono 178 persone, tra cui 53 bambini. Jean era il primo figlio, di Jean-Marie, contadino e di Anna Maria, tutta dedita a tirar su la famiglia e aiutare il marito nei lavori dei campi. Dopo di lui quattro fratelli e tre sorelle. Jean Maria frequentò la scuola elementare, diretta da un maestro laico e poi da un Fratello di San Gabriele. Della scuola non conservava particolari ricordi, mentre invece amava raccontava di quando, a otto anni, assieme al fratelli si arrampicò su un albero per strappare l’edera per foraggiare la mucca. Che caduta rovinosa! Si slogò la mano, che continuò a fargli male per parecchie settimane.
Come gli venne l’idea di diventare sacerdote? Come capita spesso, la voce di Gesù si fa sentire attraverso la voce di qualcun altro. Un giorno il parroco lo trovò nei campi a lavorare con il padre: “Ragazzino, ti piacerebbe studiare per diventare prete?”. A Jean l’idea piacque. Il parroco trovò due benefattori per la retta e Jean, a 13 anni, entrò nel seminario minore di Beaupreau, a cinque chilometri dal suo villaggio. Dopo un anno uno dei benefattori morì e la vedova non rinnovò il pagamento della retta. Fu così che Jean si trovò con 200 franchi di debito che avrebbe dovuto saldare una volta ordinato sacerdote. Ma nel frattempo gli era nata in cuore la vocazione missionaria. Ogni anno, a settembre, vedeva i Missionari Oblati venire al suo paese per predicare il ritiro a tutta la gente. Gli piacevano. Un giorno si decise di andare a trovarli nella casa di Angers. Il superiore lo accolse con gioia e gli suggerì di scrivere al superiore generale, che allora era p. Fabre, il primo successore di sant’Eugenio de Mazenod. Ne ricevette una bella letterina che lo invitava a raggiungere gli Oblati. Ma per il momento Jean preferì proseguire gli studi nel seminario diocesano.
Finito il liceo, a 24 anni, entrò nel seminario maggiore della diocesi ad Angers. Qui il padre spirituale riconobbe la verità della chiamata missionaria e lo invitò a raggiungere gli Oblati. Ma prima c’erano i 200 franchi di debito verso il seminario. Alla fine dell’anno il padre spirituale gli diede 75 franchi, 25 ne ricevette durante le vacanze da una brava signora, ma gli altri 100? Non avendo i soldi per lasciare in seminario, alla fine delle vacanze dovette tornarvi. Il padre spirituale rimase sorpreso nel vederlo ancora lì, e gli diedi i 100 franchi mancanti. Il giorno dopo Jean lasciava il seminario diocesano diretto al noviziato di Nancy, dove fece la sua vestizione il 14 ottobre 1868.
Intanto in Francia la situazione politica, con le elezioni del 1869, si stava deteriorando. Fu così che, terminato il noviziato, Jean fu mandato a casa in attesa che le cose si chiarissero. Non aveva neppure emesso i voti, come si faceva abitualmente alla fine del noviziato, perché era un atto un cambiamento delle Regole degli Oblati che avrebbe riorganizzato il noviziato e introdotto i voti temporanei; ma bisognava attendere il 1870 per vedere approvate le proposte di cambiamento. Soltanto dieci mesi più tardi, il 15 agosto 1870, Jean poté finalmente emettere la professione allo scolasticato di Autun. Ma il “sì” di Jean alla chiamata di Gesù era nuovamente ostacolato da fattori esterni. Giuseppe Garibaldi, presente nella guerra franco-prussiana, occupò lo scolasticato di Autun e lo lasciò in uno stato pietoso… Bisognava quindi emigrare verso un altro scolasticato, Notre Dame de l’Osier. A causa della guerra le ferrovie erano nel caos e Jean fu obbligato a passare una notte intera, al freddo, in una piccola stazione, prendendosi una bronchite che si portò dietro fino a quando giungerà in Texas, 30 mesi più tardi. Per sfuggire l’arruolamento nell’esercito venne subito ordinato suddiacono e finalmente sacerdote il 25 maggio 1873. Era giunto il tempo di partire per la missione. La salute era in condizioni disastrose, forse non sarebbe arrivato neppure nel Texas, dove era destinato… Andrò avanti per altri 60 anni!
Gesù, il Salvatore - Gesù chiama alla sua sequela perché ha una missione da affidare. Per padre Jean aveva riservato il Texas. Per altri… lo si scopre sempre dopo. L’importante è ascoltare quella voce e dirgli di sì, seguirlo, senza preoccuparsi di dove ci porterà.
Il primo passo è un’adesione incondizionata al “segui-mi”, segui me! C’è la persona di Gesù da scoprire e da seguire, come hanno fatto Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, tutti gli apostoli, Paolo.
La Regola degli Oblati inizia proprio con queste parole: «La chiamata di Gesù Cristo… li invita a seguire il Signore… Gli Oblati abbandonano tutto per seguire Gesù Cristo». È il cammino a cui sono chiamati tutti i membri della grande famiglia oblata: stare con il Signore, conoscerlo sempre di più, entrare in intimità con lui, scoprire il suo amore personale per ciascuno, imparare a rispondere a tanto amore.
Al cuore di ogni vocazione e di spiritualità c’è la persona di Gesù. Ogni spiritualità scopre uno degli infiniti aspetti del suo mistero, un suo volto. Sant’Eugenio ha trovato in lui il Salvatore : si è sentito amato più di ogni altra persona perché più di tutti bisognoso della sua misericordia e del suo perdono. Ha capito che egli è il tesoro per il quale vale la pena vendere tutto pur di possederlo. È la vita della nostra vita, l’unico capace di colmare il cuore mai sazio d’amore. Per questo pregava: «Tu, tu solo ormai sarai l’unico oggetto a cui tenderà ogni mio affetto, ogni mia azione. Piacere a te, agire per la tua gloria sarà la mia occupazione quotidiana, l’occupazione di tutti gli istanti della mia vita. Io voglio vivere solo per te, voglio amare te solo e amare tutto il resto in te e per te».
Così lo ha fatto conoscere ai suoi Oblati: «Cristo Salvatore. È questa l’angolatura da cui dobbiamo contemplare il nostro divin Maestro». Così lo ha fatto conoscere a tutte le persone che incontrava, convinto che questa fosse la sua missione: rivelare l’infinito amore misericordioso e salvatore di Gesù : «Che io viva e respiri solo per lui, mi consumi nel suo amore servendolo e facendo conoscere quanto egli è amabile e quanto gli uomini sono insensati a cercare altrove il riposo del loro cuore, riposo che potranno trovare soltanto in lui...».
Ogni cammino spirituale inizia da questo incontro con Gesù e termina con l’incontro ultimo e definitivo con lui, quando lo vedremo faccia a faccia e saremo introdotti nel suo Paradiso, nel seno della Trinità, con gli angeli e i santi.
Possiamo anche noi pregare con le parole di sant’Eugenio, perché il desiderio di incontrarlo dilati sempre più l’anima, e da poterlo accogliere come egli è, il nostro Salvatore: «Voglio amarti non solo quanto posso amarti, è troppo poco. Voglio amarti come ti hanno amato i santi, come ti amò e ti ama la tua santissima Madre. Mio Dio questo non mi basta ancora, perché vorrei amarti come tu ami te stesso. Lo so che è impossibile, ma desiderarlo non è impossibile perché io lo desidero con tutta la sincerità dell’anima. Sì, mio Dio, vorrei amarti come tu stesso ti ami».
Nella foto: La chiesetta del ranch de La Lomita dove la sera p. Jean (foto-ritratto) narrava la sua storia.
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