sabato 30 ottobre 2010

Dallas

Eccomi a Dallas, dopo cinque ore di auto attraverso una interminabile pianura sterminata, dove la vegetazione persiste in un verde che non conosce ancora i colori dell’autunno. Passo per Austin, la capitale del Texas; soltanto da lontano vedo la grande cupola del parlamento nazionale stagliarsi nell’azzurro intenso. Dallas, la grande città industriale, con le sue 5,700 compagnie, tra cui Texas Instruments con 14.000 impiegati, l’ATeT, la Exxon, l’American Airlines. Ed anche la città che più di tutte conosce l’attuale crisi economica. 1.200.000 gli abitanti, a cui se ne aggiungo qualche altro milione nella zona metropolitana. Una città senza grande passato, almeno secondo i parametri europei. Nel 1841 John Neely Bryan si fece assegnare dal governo questa terra dalla quale erano stati allontanati tutti gli Indiani. Invitò una comunità di bianchi che abitava in un forte non troppo lontano, e nel 1842, uno dei nuovi arrivati piantò il primo granturco. La nascente città fu chiamata Dallas dal nome del Vice presidente degli Stati Uniti. Tutti noi ce la ricordiamo come la città in cui Kennedy fu assassinato nel 1963, o come il luogo in cui si svolgeva l’interminabile telenovela “Dallas” (di cui non ho avuto la fortuna di vedere neppure una puntata). In questi giorni la città mi mostrerà altri volti, molto meno noti, ma forse più veri.

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