venerdì 13 settembre 2024

Giovanni Crisostomo, Olimpia e padre Conti Guglia

 

Alla vigilia dell’esaltazione della santa croce abbiamo celebrato la festa di san Giovanni detto Crisostomo, “bocca d’oro”, tanto grande era la sua eloquenza.

Ho ripreso in mano le sue Omelie al popolo antiocheno, pronunciate quando era diacono. Tra la prima e la seconda omelia (le omelie sono 21) una rivolta contro l’imperatore causò una feroce repressione con uno sterminato numero di morti. Il Crisostomo si ferma a lungo su questa tragedia…

La traduzione italiana, apparsa nel 1958 nella Collana patristica della San Paolo, è di p. Carmelo Conti Guglia, un Oblato di altri tempi… Una volta ne ho parlato qui nel blog:

https://fabiociardi.blogspot.com/2018/10/il-rosario-di-p-carmelo.html

Mi ha colpito la dedica del libro: “Ai miei giovani confratelli perché guidati dal Crisostomo nei tesori dei Santi Padri imparino il segreto della vera eloquenza”.

Dovremmo imparare dalla sua eloquenza, ma anche e soprattutto dalla sua vita, fatta di tenacia, di passione per la verità, di amore per il suo popolo… Mi ha sempre colpito come ha vissuto gli ultimi anni della sua vita quando, ormai vescovo di Costantinopoli, viene mandato in esilio. O meglio, vedendo le violenze che i soldati fanno alla sua gente a causa sua, nella veglia di Pasqua dell’anno 404, egli stesso lascia la città dopo aver chiamato nel battistero Olimpia, insieme a Pentadia e Procle, tutte e tre diaconesse: “Venite qui, figlie mie, ascoltatemi. Per quanto mi riguarda sono arrivato alla fine, lo so, ho terminato la mia corsa, ed è probabile che non vedrete più il mio viso. Ma ecco le mie raccomandazioni; che nessuna di voi smetta di essere devota verso la Chiesa… Che Dio abbia pietà di voi. Ricordatemi nelle vostre preghiere”.

Olimpia è della stessa levatura di Crisostomo. Ha edificato un monastero accanto alla casa del vescovo: vi abitano 240 sorelle! “La pia Olimpia – scrive Palladio – preparava ciò che era necessario quotidianamente ai bisogni personali di Giovanni e lo inviava al vescovado…”. Continuò ad esserle vicina e ad aiutarlo “anche dopo la condanna all’esilio, fino alla fine della sua vita, fornendogli tutto ciò che era necessario, a lui e ai suoi compagni d’esilio”.

Le lettere sempre più frequenti che dall’esilio di Cucusa Giovanni indirizza a Olimpia sono una testimonianza fortissima del legame che sempre li ha uniti, anche in quella notte che vivono insieme. Immagina lei che dice: “Non riesco a dissipare questa nube spessa e scura di tristezza, per quanti sforzi io faccia”; ma è anche quello che egli stesso sta vivendo. Poi, nell’ultima tappa dell’esilio verso il Mar Nero, la malattia, il freddo… Anche Olimpia lascia Costantinopoli per l’esilio.

Unica luce le parole da lui pronunciate davanti ai suoi fedeli prima dell’esilio: «Molti marosi e minacciose tempeste ci sovrastano, ma non abbiamo paura di essere sommersi, perché siamo fondati sulla roccia. (…) Cosa dovremmo temere? La confisca dei beni? “Non abbiamo portato nulla in questo mondo e nulla possiamo portare via”. Disprezzo le potenze di questo mondo e i suoi beni mi fanno ridere. Non temo la povertà, non bramo le ricchezze, non temo la morte, né desidero vivere, se non per il vostro bene».

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