venerdì 3 aprile 2020

Senza preti, ma non senza sacerdozio



In questo periodo i preti si stanno riscattando da un certo torpore. Quando improvvisamente si sono trovati le chiese vuote, si sono chiesti che senso avesse il loro ministero e sono stati costretti a ripensare la missione e a inventare qualcosa di nuovo, sprigionando una impensata creatività.
Non si tratta soltanto di mandare la messa in streaming, ma di un contatto più ravvicinato – paradossale in questo tempo di isolamento – con il popolo di Dio loro affidato: iniziative per la catechesi ai bambini, trovando linguaggi e gesti adeguati come testimoniano i video in circolazione; organizzazione di assistenza a domicilio delle persone sole, povere, ammalate o comunque bisognose; chiamate telefoniche personalizzate… Il mio parroco la Domenica delle palme passerà per le strade a benedire i rami di olivo (in parrocchia si stanno ingegnando per procurarli e distribuirli) che saranno agitati dalle finestre… e così si supplisce anche alla benedizione delle case e delle famiglie!
Che sia l’inizio per cercare – anche una volta passata la pandemia – forme nuove di pastorale?

Anche per i laici questo periodo può trasformarsi in un tempo di grazia.
Quando giorni fa ho scritto: “La prima volta senza la messa, ma non senza Gesù”,
il mio blog ha avuto un’impennata: 2500 visite, tante per il mio abituale giro di lettori; non sono certo un influencer!
Che sia davvero l’occasione per riscoprire il sacerdozio dei fedeli?
Forse ci siamo adagiati troppo sui sacramenti, essenziali, indispensabili per la vita cristiana, nessuno lo mette in discussione.
Ma fare della casa e della famiglia e del vicinato una chiesa domestica è un’altra cosa.

L’aveva ricordato il Concilio Vaticano II (ormai si perde nei tempi), quando afferma che nella famiglia, “che si potrebbe chiamare Chiesa domestica, i genitori devono essere per i loro figli i primi maestri della fede”.
Invitava i cristiani laici ad “offrire se stessi come vittima viva, santa, gradevole a Dio” e a rendere “dovunque testimonianza di Cristo”, esercitando così “il loro sacerdozio col ricevere i sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l’abnegazione e la carità operosa” (Lumen gentium, 11).
“Col ricevere i sacramenti”, innanzitutto. Almeno uno l’abbiamo già ricevuto tutti, il battesimo, ed è proprio quello che ci abilita ad essere “sacerdoti”, anche e soprattutto in mancanza di preti.
Bene il catechismo in parrocchia, ma questi giorni di chiusura forzata ci ricordano che forse la prima catechesi va fatta proprio in casa, da genitori, da nonni, zii…
C’è la preghiera dell’Eucaristia, ma c’è anche la preghiera del mattino, della sera, quella prima dei pasti, il rosario… Non potremmo riscoprire la preghiera domestica?

L’offerta sacerdotale è molto più vasta e profonda, come ricorda il Concilio, che non fa altro che riprendere il dettato biblico:
- “offrire se stessi come vittima viva, santa, gradevole a Dio”. Il dolore della separazione, della mancanza della scuola, dell’insicurezza economica, della vicinanza forse mai così stretta e prolungata con persone di casa ammalate, anziane, con problemi fisici e psichici, non è la prima e più grande offerta del nostro sacerdozio? Non ci pone in una comunione nuova e consapevole con l’offerta di Gesù sacerdote che si offre sulla croce? Non sono queste le nostre croci?
- rendere “dovunque testimonianza di Cristo”. Forse mai come in questi giorni le persone sono disposte ad ascoltare, hanno bisogno di essere ascoltate, cercano qualcosa di essenziale e di vero. Perché non approfittare per trasmettere la nostra esperienza di Vangelo, ciò in cui crediamo?
- esercitare il sacerdozio “con la testimonianza di una vita santa, con l’abnegazione e la carità operosa”. Forse potremo scoprire la nostra dimensione sacerdotale nel lavoro in ospedale, in quelli più umili che assicurano i servizi sociali essenziali, nell’attenzione alle persone più bisognose…
Dovremo aspettare di tornare in chiesa per esercitare il nostro servizio sacerdotale? Speriamo di tornare in chiesa, più numerosi di prima, e riscoprire la bellezza e la preziosità dell’Eucaristia, della comunità cristiana, del servizio dei preti… Nel frattempo possiamo imparare ad esercitare il nostro essere sacerdoti con una creatività mai sperimentata prima d’ora.
Chissà quante esperienze positive potremo raccontarci.

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