Di nuovo Gesù al centro, l’unico, il tutto, davanti al quale ogni altra realtà si relativizza e sparisce. Come al sorgere del sole scompaiono le stelle, al suo apparire tutto si eclissa. C’è, c’è ancora tutto, come ci sono le stelle in cielo anche di giorno, ma non si vede altro, come di giorno la luce del sole. Ci sono ancora il padre e la madre: è comando amarli e onorarli. Ci sono ancora i figli e le figlie: occorre prendersi cura di loro. Ma Gesù è un Dio geloso e vuole il primo posto, l’esclusività dell’amore. Non ammette un cuore diviso in mille affetti, un amore che si disperde per molti rivoli. Un cuore intero, tutto per lui. Un unico amore.
Pretese assurde se non ci fosse quel “per causa mia” e la
controparte di un Dio! “Chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la
troverà”.
Le sue rimangono comunque parole tremende, soprattutto quando
idolatriamo gli affetti e la nostra vita, cecità che non ci consente più di
riconoscere il vero Dio.
Sono parole rivolte ai discepoli nel momento in cui li invia in missione; parole rivolte a tutti i missionari, di ogni tempo, che non potrebbero andare se rimanessero legati ad affetti e sicurezze. Parole che liberano il cuore, le mani, i piedi per essere pienamente a suo servizio, ovunque e comunque.
Ma Gesù non si lascia vincere in generosità: a quanti hanno fatto
questo passo, e sempre lo rinnovano, ha promesso cento volte più di quanto
hanno lasciato; ridona loro la vita che hanno perduto per lui, e la ridoni in
pienezza. E con la vita fa ritrovare padre, madre, moglie, figli… ognuna di
queste persone ha ormai il suo volto. Egli dona occhi nuovi per saperlo
riconoscere in quelli che prima erano semplicemente uomini e donne e ora sono lui.
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