Le monache sono arrivate qui nel 1973 dietro richiesta dell’abate della Grande Certosa. I Cistercensi vi avevano costruito in monastero già nel 1200. Poi la Rivoluzione francese ha depredato e lasciato decadere tutto come tanti altri siti religiosi. I Certosini l’hanno recuperato, ristrutturato, per affidarlo a qualcuno che potesse accogliere le persone desiderose di un’esperienza di silenzio e di solitudine, cosa che loro non possono fare nella Grande Certosa dove l’isolamento è completo. Hanno così trovato le monache di Betlemme. La loro venuta in questo monastero ha segnato una svolta nel loro cammino perché le ha avvicinati a san Bruno, verso cui sentivano già l’attrazione e da cui hanno poi preso il nome. Adesso molte famiglie e persone singole passano qui dei periodi di preghiera e di raccoglimento.
Accanto all’antica Certosa anche i monaci di Betlemme hanno
costruito il loro monastero, cominciando col trasformare in chiesa l’antica
grande stalla. Con loro celebro Mattutino, Lodi, Messa, in tutta solennità.
Sono una ventina, quasi tutti giovani. Si sente il timbro del monachesimo
orientale.
All’omelia mi è facile parlare di san Benedetto e ricordare
il ritornello che attraversa la sua Regola, fin dalla prima parola: “Ascolta…
ascoltate…”. Il monastero è una scuola nella quale si impara, ascoltando.
Ognuno di noi è una “parola” che Dio ha pronunciato da tutta l’eternità. La
nostra vita è una scuola nella quale impariamo a diventare come Dio ci ha
sognati, per essere quello che siamo chiamati a essere. Ma la nostra “parola” è
stata pronunciata nella “Parola”, nel Verbo di Dio, ed è soltanto ascoltando,
accogliendo, vivendo la Parola che diventiamo parola, diventiamo noi stessi,
proprio come Dio ha pensati.
Insieme siamo poi tornati al monastero di Piquetière per le
conclusioni del nostro lavoro. Mi congedono con un bigliettino nel quale tra
l’altro mi scrivono: “Che lo Spirito Santo di cui siete l’audace cantastorie
sia ringraziato per avervi messo sul nostro cammino per, con voi e con tutti i
nostri santi Fondatori, cantare e vivere nell’incanto i doni preziosi dei
nostri carismi”.
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