martedì 11 luglio 2023

Cantastorie dei carismi

Celebrare la festa di san Benedetto in un monastero! Chi l’avrebbe mai pensato. Da Piquetière sono passato a Currière, non troppo lontano, sempre nel Massiccio della Certosa. Qui i monasteri di Betlemme sono due, uno femminile e uno maschile, divisi dai due piccoli cimiteri con delle semplici croci sulle quali è scritto soltanto il nome del monaco o della monaca. Tra le altre la tomba di sr. Maria, la fondatrice; anche per lei una croce di legno e il nome.


Le monache sono arrivate qui nel 1973 dietro richiesta dell’abate della Grande Certosa. I Cistercensi vi avevano costruito in monastero già nel 1200. Poi la Rivoluzione francese ha depredato e lasciato decadere tutto come tanti altri siti religiosi. I Certosini l’hanno recuperato, ristrutturato, per affidarlo a qualcuno che potesse accogliere le persone desiderose di un’esperienza di silenzio e di solitudine, cosa che loro non possono fare nella Grande Certosa dove l’isolamento è completo. Hanno così trovato le monache di Betlemme. La loro venuta in questo monastero ha segnato una svolta nel loro cammino perché le ha avvicinati a san Bruno, verso cui sentivano già l’attrazione e da cui hanno poi preso il nome. Adesso molte famiglie e persone singole passano qui dei periodi di preghiera e di raccoglimento.

Accanto all’antica Certosa anche i monaci di Betlemme hanno costruito il loro monastero, cominciando col trasformare in chiesa l’antica grande stalla. Con loro celebro Mattutino, Lodi, Messa, in tutta solennità. Sono una ventina, quasi tutti giovani. Si sente il timbro del monachesimo orientale.

All’omelia mi è facile parlare di san Benedetto e ricordare il ritornello che attraversa la sua Regola, fin dalla prima parola: “Ascolta… ascoltate…”. Il monastero è una scuola nella quale si impara, ascoltando. Ognuno di noi è una “parola” che Dio ha pronunciato da tutta l’eternità. La nostra vita è una scuola nella quale impariamo a diventare come Dio ci ha sognati, per essere quello che siamo chiamati a essere. Ma la nostra “parola” è stata pronunciata nella “Parola”, nel Verbo di Dio, ed è soltanto ascoltando, accogliendo, vivendo la Parola che diventiamo parola, diventiamo noi stessi, proprio come Dio ha pensati.

Insieme siamo poi tornati al monastero di Piquetière per le conclusioni del nostro lavoro. Mi congedono con un bigliettino nel quale tra l’altro mi scrivono: “Che lo Spirito Santo di cui siete l’audace cantastorie sia ringraziato per avervi messo sul nostro cammino per, con voi e con tutti i nostri santi Fondatori, cantare e vivere nell’incanto i doni preziosi dei nostri carismi”.





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