“Venite”. L’invito rivolto ai primi discepoli ora si estende
all’intero popolo delle beatitudini: a quanti si sentono oppressi e hanno fame
e sete di giustizia, ai poveri, ai perseguitati, a tutti noi che facciamo
fatica a vivere con coerenza la nostra vocazione di figli di Dio. Gesù ci chiama
a sé perché ci mettiamo alla sua scuola.
Soltanto lui può insegnarci a vivere, perché è lui che ci ha
creato, ci hai dato la vita: è la Vita. Le cose vere, quelle del Regno dei
cieli, soltanto lui può rivelarcele perché soltanto lui le ha ricevute in dono
dal Padre che, attraverso di lui, vuole donare anche a noi.
Questo è il primo grande insegnamento che rivolge a chi lo segue: ci fa conoscere e ci rende partecipi del suo rapporto d’amore con il Padre, fatto di una profonda e intima comunione? Non soltanto ci fa conoscere questo mistero di comunione reciproca, ma ci coinvolge pienamente in essa. Il suo rivelare non è soltanto trasmissione di una conoscenza, ma comunicazione della realtà stessa: il suo dire è dare.
Ci invita a seguirlo, a stare con lui, a guardarlo, perché, al di là delle parole, la sua stessa vita è il più grande insegnamento. Non leggiamo: “imparate quello che dico”, come può dire un qualsiasi maestro, ma “imparate da me”, come può dire soltanto lui, il Maestro. La sua vita ci parla. Cosa impareremo stando alla tua scuola?
Oggi ci insegna la mitezza: “Imparate da me che sono mite”. Nessuna violenza, anzi la pazienza, la benevolenza, che non gli fanno spegnere lo stoppino che stenta a bruciare, non lo fanno spezzare la canna già incrinata. È pieno di misericordia con chi sbaglia, fino a chiedere perdono a Dio per chi lo crocifigge. Quale preziosa lezione quando, inchiodato sulla croce, benedice e non maledice, trasformando così in bene tutto il nostro male! Il suo insegnamento è peso dolce e leggero, adatto a piccoli come siamo noi.
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