Di
nuovo a Tonadico, di nuovo suoi “luoghi carismatici” del Paradiso49. Saliamo
alla Madonna della luce e rileggiamo l’esperienza vissuta in quella natura
meravigliosa: «Avevo l’impressione di percepire, forse per una grazia speciale
di Dio, la presenza di Dio sotto le cose. Per cui se i pini erano inondati dal
sole, se i ruscelli cadevano nelle loro cascatelle luccicando, se le margherite
e gli altri fiori ed il cielo erano in festa per l’estate, più forte era la
visione d’un sole che stava sotto a tutto il creato. Vedevo, in certo modo,
credo, Dio che sostiene, che regge le cose».
La
percezione di Dio nel creato, pur nella differenza delle fedi, è comune a tutte
le grandi religioni. Le Upanisad raffigurano il Brahman come lo
spazio immenso «nel quale i mondi riposano» e «nel quale tutte le cose sono
contenute»; la divinità abbraccia e avvolge tutto. Lao-tzu rappresenta il Tao
come «la dimora di tutte le cose». Del Buddha si narra: «Quando Shakyamuni vide
il mondo con gli occhi di Budda, scoprì che ogni cosa gli appariva
completamente trasformata: animali, piante, esseri umani, tutto sembrava
immerso in un tale bagno di gloria e di splendore che era come se fossero
pervasi della vita stessa del Budda. Il suo spontaneo: “Meraviglioso!
Meraviglioso!” eruppe dalla sua grande gioia di scoprire la vera situazione di
ogni esistenza».
Anche
i mistici cristiani testimoniano una medesima percezione. Basterà richiamare l’esperienza
di Ildegarda di Bingen quando sente la voce di Dio amore che le dice: «Io, la
somma potenza di fuoco, accendo tutte le scintille della vita. (…) Io, la
fiammeggiante vita dell’essenza divina, sfavillo sulla bellezza dei campi,
risplendo nelle acque, ardo nel sole, nella luna e nelle stelle. E con vento
leggero, quasi con respiro invisibile, risveglio ogni cosa a una vita
rigogliosa. L’aria vive in ciò che è verdeggiante e fiorente. Le acque scorrono
come se fossero vive. Io, la forza di fuoco, riposo nascosta in tutti questi
elementi, che grazie a me ardono, così come il respiro, l’anima, muove
costantemente l’uomo. Tutti gli elementi vivono nella loro natura; nulla di
morto si trova in essi, poiché io sono la vita».
Angela
da Foligno: «All’istante furono aperti gli occhi dell’anima. E vedevo una
pienezza di Dio, nella quale abbracciavo tutto il mondo, vale a dire di là dal
mare, di qua dal mare e l’abisso e il mare e il resto. E in tutto ciò non
discernevo se non la potenza divina in un modo inenarrabile. L’anima, piena di
ammirazione, gridò dicendo: “Questo mondo è pregno di Dio”. E abbracciavo il
mondo intiero come fosse una piccola cosa, cioè di là e di qua dal mare e
l’abisso e il mare e il resto, come fosse poca cosa; ma la potenza di Dio
eccelleva e riempiva tutto».
Gemma
Galgani vedeva «una luce di splendore immenso che penetra ogni cosa e, nello
stesso tempo, dà vita ed anima tutto, così che tutto quello che esiste ha la
vita da questa luce e vive di essa». Per questo, attesta, «io vedo il mio Dio e
tutte le creature in lui».
Come
non ricordare il vescovo Klaus Hemmerle che, poco prima della sua morte, così
comunicava la sua percezione della natura: «Ero in vacanza sulle Alpi e una
volta, durante una passeggiata, mi parve che il sole fosse caduto nella valle.
Immergeva di luce il paesaggio non più da sopra o da fuori, ma come da sotto e
da dentro. Monti, strade, acque, rosseggiavano del sole che era in loro e quasi
sotto di loro».
È
proprio l’esperienza di Chiara: tutto è in rapporto d’amore. Le creature non
soltanto sono in rapporto l’una con l’altra, figlie di quel Dio Amore che è
Persone in rapporto l’una con l’altra, ma sono addirittura “innamorate” tra di
loro. “Innamorate”, ossia esse si desiderano, si attraggono con freschezza
sempre rinnovata, nell’incanto del primo amore. L’esemplificazione è
estremamente suggestiva e denota il frutto di una contemplazione mistica: «Se
il ruscello finiva nel lago era per amore. Se un pino s’ergeva accanto ad un
altro era per amore».
L’universo
appare unificato dalla presenza di Dio e dal dinamismo di amore reciproco che
egli vi imprime in quanto Trinità: «E la visione di Dio sotto le cose, che dava
unità al creato, era più forte delle cose stesse; l’unità del tutto era più
forte che la distinzione delle cose fra loro».
L’universo
appariva tale anche ad Angela da Foligno che lo vedeva «come fosse una piccola
cosa», al punto da poterlo abbracciare. Lo stesso accadde a Benedetto da Norcia
nella sua celebre visione del mondo che si raccoglieva interamente in un raggio
di sole. Eppure l’esperienza di Chiara mostra un elemento nuovo: l’unità del
creato è il frutto della relazione d’amore tra le cose create. Queste non sono
«una piccola cosa» perché rimpicciolite davanti all’infinito di Dio, come
sembra sperimentare Angela. Non sono «raccolte in un raggio di sole» perché
colte con lo sguardo di Dio, come sembra sperimentare Benedetto. Sono “uno”
perché ogni realtà è “innamorata” dell’altra, va verso l’altra perché da essa
attratta e ad essa si dona e con essa si consuma in unità. È l’amore che muove
le realtà create l’una verso l’altra, a cercarsi, a unificarsi.
Siamo
in un’altra dimensione anche rispetto al dantesco «l’amor che muove il sole e
l’altre stelle». L’amore di Dio, nell’esperienza di Chiara, non è un influsso
esterno ad esse che le muove e le spinge le une verso le altre. L’amore di Dio
si partecipa alle realtà stesse e rende il movimento della creazione una realtà
ad essa intrinseca, nasce dal di dentro, motivato proprio dalla partecipazione
all’Amore.
Il
fiume quando si getta nel mare cessa di essere fiume, “muore” nel mare, dando
al mare la possibilità di “vivere”: si muove per amore del mare e il suo morire
è per dare la vita. Ed è così, tra l’altro, che il fiume realizza la propria
identità. Se lo si sbarrasse per impedirgli di “perdersi” nel mare diventerebbe
una palude, non più un fiume. Siamo dunque in una visione tutta positiva del
“negativo” presente nella natura. Se nella creazione il negativo, la morte ad
esempio o la decomposizione, è sperimentato come dolore e fallimento ciò è
dovuto al peccato e alle sue conseguenze, non alla realtà in sé, che è invece
espressione di dono, offerta di vita, frutto di un “innamoramento”. Siamo
davanti ad un riflesso dell’amore trinitario, dell’amore mostrato in terra da
Gesù abbandonato. La creazione parla di Dio creatore; dalle realtà conoscibili
si può risalire al loro fattore (cf. Rm 1, 20) e, alla luce della
pienezza della rivelazione, possiamo sentire le realtà create che parlano del
Dio di Gesù Cristo che è Amore, Trinità di Persone in Unità.
A
questo punto non posso non fare riferimento ad un’altra esperienza che avverrà
un paio di mesi più tardi, il 2 settembre del medesimo anno, quando Chiara stessa
si sente personalmente coinvolta nel rapporto d’amore tra tutto il creato.
Anche allora ricorre il verbo “innamorare”: «Tutto è innamorato in me ed ogni
cosa è innamorata fuori di me. Ho sentito che io sono stata creata in dono a
chi mi sta vicina e che mi sta vicino è stato creato in dono per me. Come il
Padre della Trinità è tutto per il Figlio e il Figlio è tutto per il Padre.
Sulla terra tutto è in rapporto di amore con tutto: ogni cosa con ogni cosa.
Bisogna essere l’Amore per trovar il filo d’oro fra gli esseri».
Il
rapporto di attrazione e di donazione d’amore tra le creature non riguarda
soltanto la natura inanimata, ma l’umanità stessa. Il dinamismo dell’amore come
relazionalità (darsi in dono ed accogliere il dono) si fa esplicito e
cosciente. Esperienza della natura ed esperienza dell’uomo si illuminano a
vicenda: sono l’essere e l’esperienza della creatura come tale, in quanto porta
in sé l’impronta del Creatore che è Trinità. Il riferimento al rapporto d’amore
tra le divine Persone (darsi in dono ed accogliere il dono) è ormai esplicito.
E che si tratti di una reale esperienza mistica è testimoniato dall’ultima
frase: «Bisogna essere l’Amore per trovar il filo d’oro fra gli esseri».
Soltanto con lo sguardo di Dio si può cogliere in pienezza l’opera di Dio. Ma
per avere il suo sguardo occorre essere lui stesso.
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