martedì 22 novembre 2022

Tra voi la carità... / 1

«Come Oblati cerchiamo di essere specialisti della comunione, fedeli all'eredità del nostro Fondatore: “Praticate tra voi la carità, la carità, la carità – e, fuori, lo zelo per la salvezza delle anime. Nella fedeltà a quel testamento, lo zelo di ciascun membro è sostenuto dai vincoli della carità fraterna». Così leggiamo nel documento del nostro ultimo Capitolo generale (n. 16). Sono parole troppo conosciute per impressionarci ancora. Eppure vale la pena continuare a ricordarle…

Queste parole del “testamento” di sant’Eugenio furono pronunciate il giorno prima della sua morte, lunedì di Pentecoste, 20 maggio 1861, e sono riportate nella Lettera circolare di padre Joseph Fabre, il 26 maggio successivo.

Nel pomeriggio del 20 maggio, p. Tempier annuncia a Eugenio de Mazenod che “ogni speranza è perduta”. Il vescovo fa l’offerta della sua vita e chiede la sua croce di oblazione e il suo rosario. Si recitano le preghiere dei moribondi e il rosario. Dopo il Regina cœli arrivano i padri del seminario. Il morente rinnova i voti, poi benedice gli Oblati e le Suore della Sacra Famiglia di Bordeaux. Padre Fabre, superiore del seminario, gli chiede: “Degnatevi di mostrarci l’ultimo desiderio del vostro cuore”. Il Fondatore risponde: “Praticate bene tra voi la carità, la carità, la carità e, fuori, lo zelo per la salvezza delle anime” (J. Fabre, Circolare n. 9, 26 maggio 1861, in Circ. adm., I [1850 -1885], p. 63).

P. Fabre aggiunge che poco dopo, all’arrivo di P. Ambroise Vincens e della comunità del Calvario, l’ammalato “ha voluto ripetere... tutto quello che aveva già detto. Tale, continua, è il prezioso testamento che ci lascia questo amato Padre, tali sono i suoi ultimi pensieri, i suoi ultimi sentimenti, i suoi ultimi desideri» (Ibidem).

Le ultime raccomandazioni scritte agli Oblati, il Fondatore le aveva rivolte in occasione della promulgazione della seconda edizione delle Regole, nella lettera circolare del 2 agosto 1853. Insiste soprattutto sulla tensione alla santità e sulla pratica della carità fraterna, terminando con queste parole: «Riassumo tutte le mie raccomandazioni e i miei auguri con le parole dell’apostolo san Paolo ai Corinzi: Infine, fratelli miei [rallegratevi], tendete alla perfezione, incoraggiatevi a vicenda, abbiate unità di mente e di cuore, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi. Salutatevi con il bacio santo. La grazia di nostro Signore Gesù Cristo, L’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo rimangano con tutti voi. Amen” (2 Cor, 13, Circolare n. 1, 2 agosto 1853, in EO I, t. 12, p. 186; Circ. adm., I [1850-1885], p. 2 [16]).

Parole che “riassumono la sua vita” e sono “il riassunto delle sacre regole”

Nessuno meglio di p. Tempier poteva dare un giudizio così sicuro sulle ultime le parole del Fondatore: esse, afferma, “riassumono la sua vita” e sono “il compendio delle sante Regole”, la sintesi delle sue esortazioni agli Oblati lungo tutta la vita.

Negli scritti di sant’Eugenio troviamo spesso i due termini, carità e zelo, uniti nella stessa frase.

Già nel primo articolo della Regola del 1825-1826 si legge che il fine di questa piccola Società è che «i sacerdoti, riuniti per vivere insieme come fratelli (Sal 132, 1) si dedicano principalmente all’evangelizzazione dei poveri”. Il 12 agosto 1817, aveva scritto nello stesso tono a p. Tempier: “… un vero zelo disinteressato per la gloria di Dio e la salvezza delle anime, e la carità più tenera, molto affettuosa e molto sincera tra noi, faranno della nostra casa un paradiso in terra…” (In EO I, 6, n. 20, p. 34).

Un altro testo importante è quello scritto in un momento di tristezza, dopo aver constatato che a Notre-Dame du Laus i membri della comunità vivevano in un modo lontano dall’ideale che egli aveva sognato e proposto nella Regola. Scrive a p. Guibert il 29 luglio 1830: «La carità è il perno su cui ruota tutta la nostra esistenza. …La pratichiamo anzitutto tra di noi amandoci gli uni gli altri come fratelli, considerando la nostra Società come la famiglia più unita che esista sulla terra, rallegrandoci delle virtù, dei talenti e delle altre qualità che possiedono i nostri fratelli come se le possedessimo noi stessi, sopportando dolcemente le piccole mancanze che alcuni non hanno ancora superato, coprendole con il manto della più sincera carità, ecc.” (In EO I, 7, n. 350, p. 206-207).

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