venerdì 3 dicembre 2010

Houston


Percorrendo l’interstati n. 10 che attraversa gli Stati Uniti da Los Angeles alla Florida, eccomi a Houston. Due ciuffi di grattacieli segnano il polo economico e quello politico e culturale della città. Attorno un’area sterminata che percorro per ore e ore con la grande auto che ho in donazione, spostandomi da una parte all’altra per i miei appuntamenti. La città è un grande immenso parco, che a tratti si trasforma in autentica foresta, popolato di case e ville con colonne e timpani greci, già addobbate per il Natale, cariche di luci colorate. Una città bella, ordinata e silenziosa. Con i suoi quattro milioni è ormai la terza città degli Stati Uniti. Una città ricca, capitale mondiale del petrolio. Quando però visito le parrocchie degli Oblati, qui dall’inizio del 1900, scopro un altro volto della città, quello più povero, degli immigrati; un volto che non manca in nessuna città. Gli Oblati, sempre missionari di periferia, sempre con la gente di periferia. Nelle loro chiese, una volta piene di irlandesi, tedeschi, cecoslovacchi, oggi si prega soltanto in spagnolo. Sono state e sono il punto di passaggio di ogni immigrazione.
D’un sol balzo salgo al 76° piano di uno dei grattacieli. Da lassù mi rendo conto di quanto sono alti questi edifici. I grattacieli degli anni Cinquanta rimangono laggiù in basso come nanerottoli. Un grattacielo originale si innalza bello e solenne come una cattedrale, davanti alla quale la cattedrale cattolica scompare letteralmente: è la banca d’America, una nuova cattedrale per il culto del dio denaro.
Ma c’è anche la cattedrale cattolica! La piccola cattedrale di una volta non basta più. Accanto, tre anni fa, è stata costruita la nuova, molto più grande, per una città sempre più cattolica e praticante, anche grazie al continuo arrivo dei sudamericani, che si uniscono ai cinesi, ai vietnamiti… Una città davvero multietnica, laboratorio di dialogo e di mutua comprensione.

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