Il lavoro intenso della Scuola Abbà non ci ha impedito di
visitare il Sacro Speco, la grotta dove Benedetto ha iniziato la sua esperienza di solitudine
poi condivisa con i primi compagni.
Una vita tutta centrata su Cristo, quella di Benedetto. Come
non ricordare le parole con cui si chiude la sua famosa Regola? I monaci (ma
sono parole rivolte ad ognuno di noi), «nulla assolutamente antepongano al
Cristo» (RB 72, 11). Costantemente in ascolto della sua Parola invitava i
membri del suo monastero a fare altrettanto: «Ascoltiamo la voce di Dio che
ogni giorno si rivolge a noi…» (RB Prologo 9). «Che cosa vi può essere di più
dolce per noi, fratelli carissimi, di questa voce del Signore che ci chiama?» (RB
Prologo 19). «Il Signore aspetta che noi ogni giorno rispondiamo con i fatti ai
suoi santi ammonimenti» (RB Prologo 35). Si comprende perché Benedetto ha
avvolto il monastero con il silenzio: come altrimenti riuscire a cogliere la
voce di Dio? e perché ha trasformato tutta la vita in una scuola alla ricerca
di Dio, così da imparare ad amarlo e a servirlo; e perché la sua vita è
diventata preghiera, lode, canto di ringraziamento.
Una vita, quella di Benedetto, rivolta al bene della Chiesa
e della società travagliata del suo tempo. In un periodo in cui l’Europa è
invasa dai nuovi popoli del Nord e dell’Est, in costante mobilità e
irrequietezza, i suoi monasteri diventano progressivamente punti fermi e
sicuri, potenti luoghi catalizzatori, attorno ai quali si avvia la costruzione
di una nuova civiltà. Essi salvano il patrimonio dell’antica cultura
greco-romana che il cristianesimo aveva saputo assimilare, custodire e
trasformare e si aprono alle nuove correnti di pensiero portate dagli slavi,
dai celti, dai sassoni, offrendo l’esperienza cristiana come comune base di
dialogo e di confronto. Nell’equilibrio dell’ora et labora viene infatti
riportato l’uomo alla sua più autentica e profonda dimensione terreno-divina,
aprendo la strada per un nuovo umanesimo. La pax benedictina, nata nella
profondità dello spirito, ha la capacità di riversarsi dal monastero
sull’intera società trasformandosi in pax sociale.
Al Sacro Speco tutto si fa eloquente e ti sembra di toccare l'esperienza di Benedetto. Anche san Francesco è stato qui per condividere l'esperienza benedettina. All'inizio della scala che porta all'interno del santuario c'è il più antico affresco di san Francesco, eseguito forse da uno dei monaci che lo vide arrivare. È stato eseguito quando il santo era ancora vivo: attorno alla testa è accennato il nembo quadrato , come si faceva con le persone importanti ancora vive, e non ha ancora le stimmate arrivate l'anno seguente alla sua visita a Subiaco e che quindi il pittore non aveva ancora visto.
I Benedettini, fin dai primi tempi di Assisi, avevano riconosciuto il carisma di Francesco e, tutt’altro che sospettosi o invidiosi, avessero fatto di tutto per proteggerlo e favorirlo.
In segno di questa antica intesa, il nostro fra Alessandro e il benedettino che ci ha accompagnato, si sono abbracciati davanti all'affresco presente al Sacro Speco di Innocenzo III che ha approvato la prima regola francescana: la comunione tra carismi continua!
Come è attuale per il nostro oggi!
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