giovedì 7 agosto 2025

Chiara Lubich "agostiniana"

Nell’attesa dell’elezione del nuovo papa provavo a immaginare quale nome avrebbe preso. Mi sarebbe piaciuto Agostino, perché ho l’impressione che la Chiesa necessita di una maggiore unità al suo interno, di essere animata dalla carità e di continuare il cammino sinodale, aperta sul mondo, per coinvolgere tutti nell’unità e nella carità. Il nuovo papa ha scelto un altro nome… ma è un agostiniano! L’ha subito dichiarato nel primo saluto dalla Loggia centrale della Basilica di San Pietro, l’8 maggio 2025: «Sono un figlio di Sant’Agostino, agostiniano…».

Papa Leone non è soltanto un semplice agostiniano, è stato priore generale dell’Ordine degli Agostiniani per 12 anni, dal 2001 al 2013. È ben più di quanto mi sarei aspettato pensando a un papa che si fosse chiamato “Agostino”!

Sant’Agostino, dopo 16 secoli continua a ispirare, come ha fatto lungo tutta la storia della Chiesa, a cominciare da san Benedetto, su su, fino a oggi. Al riguardo ho scritto un articolo per “Nuova Umanità”. Al termine ho mostrato come sant’Agostino ha ispirato anche Chiara Lubich, la cui spiritualità, al dire di un grande studioso di sant’Agostino, forse il più grande, sarebbe “proprio agostiniana”.

Priore generale dell’Ordine agostiniano, padre conciliare, fondatore dell’Istituto Patristico Augustinianum, p. Agostino Trapé concepì l’idea ardita della pubblicazione dell’Opera Omnia di sant’Agostino in edizione bilingue latino-italiana, che oggi comprende 68 volumi con introduzioni che costituiscono autentici studi monografici. La pubblicazione fu affidata all’Editrice Città Nuova. In occasione di un incontro con uno dei responsabili dell’editrice, Carmelo Failla, p. Trapé gli espresse il proprio pensiero su Chiara Lubich e il Movimento dei Focolari, rilevando «la specialissima sintonia che scopriva lì [negli scritti di Lubich] con la spiritualità di Agostino». Fino ad esclamare: «Diteglielo alla signorina Chiara Lubich: ditele che è proprio agostiniana: nel senso che tutti i temi che sono centrali in Agostino, sono centrali anche qui in questi scritti. E senza che lei, certamente, abbia studiato sant’Agostino: il che è segno di un’esperienza spirituale autentica». Negli scritti di Chiara lo avevano colpito tre punti in particolare: «il riferimento – tanto caro ad Agostino – alla vita della prima comunità cristiana; l’altro: la carità, così centrale qui come in sant’Agostino; e poi: “Dio – tutto della vita”, così stagliato e dominante».

Informata di questo apprezzamento di p. Trapé, Chiara Lubich le scrisse il giorno seguente, 22 settembre 1965: «Dunque: il Generale degli agostiniani mi dice… agostiniana! Qualcosa ci deve essere di vero! Grazie, Padre, non naturalmente per me, ma per la spiritualità che ispira la nostra Opera. Grazie a nome dell’Opera, dunque, che d’ora in poi avrà un nuovo (anche se sempre amatissimo) protettore in sant’Agostino».

Il primo incontro di Lubich con Agostino risale forse agli studi delle Scuole Magistrali, quando, alla ricerca della verità, rimane colpita dall’agostiniano “In interiore homine habitat veritas”, la verità abita nell’intimo dell’uomo, frase che torna con regolarità nei suoi scritti e conversazioni. Ne abbiamo un’eco in una lettera del 1943: «Rientra in te: cerca Dio, il tuo Dio, quello che vive in te! Se tu conoscessi chi porti in te! Se tu tutto lasciassi per lui...», che termina con il riferimento esplicito a Le Confessioni: «Che la vostra giovinezza non scappi e fra i singhiozzi di una vita fallita, non vi tocchi dire con sant’Agostino: “Tardi ti ho amato! Tardi ti ho amato, bellezza sempre antica e sempre nuova!”. No! (...) Ora ti amo, mio Dio, mio Tutto!». Le prime focolarine guardavano con ammirazione al gruppo che sant’Agostino componeva con i suoi discepoli, al punto da affermare: «Eravamo dunque all’unisono con sant’Agostino».

Dalla consapevolezza del “Dio dentro” scaturisce il ripetuto invito ad “ascoltare quella voce”, la voce dallo Spirito Santo, la Parola del Verbo che risuona nell’intimo e che si amplifica vivendo nell’amore: «Questa carità – scrive l’8 aprile 1986 – ampliava, inoltre, dentro di noi quella che chiamavamo “la voce”. La Parola vissuta la potenziava come un altoparlante, cosicché la si distingueva bene pur fra i mille frastuoni del mondo».

Nei suoi scritti tornano inoltre le più famose frasi di Agostino, quali: «Il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te»: «Signore, che io conosca me, che io conosca Te».

Nel 1965 inizia la lettura del commento di Giovanni di sant’Agostino appena pubblicato dall’editrice Città Nuova: «A me piace tanto, tanto. (…) Che dono queste prediche di Agostino! Che colosso questo santo! Poche cose hanno portato alla mia anima tanta soprannaturale felicità». A mano a mano che prosegue la lettura esprime spesso la sua meraviglia e la sua gioia: «Sant’Agostino è maestoso nel commentare questo passo, più che maestoso».

Nel 1970 riprende il commento al cap. 17 di Giovanni (omelie 104-111). Iniziata il 29 giugno 1970, la lettura l’accompagnerà fino al 22 luglio. Prima legge il brano del Vangelo, poi lo medita e infine legge il commento di Agostino. Con sorpresa e gioia trova sempre una consonanza tra quanto lei ha compreso e quanto dice il Padre della Chiesa, anche se questi continua a suggerirle nuovi approfondimenti: «Siamo dunque all’unisono con Agostino».

Quando il 14 luglio giunge al versetto 21, non avverte più la sintonia con il commento di Agostino. «Questo perdere lungo la strada l’amicizia con Agostino, proprio in ciò che più mi stava a cuore, mi ha addolorata. Ero troppo illusa che questo reale colosso – e tale sempre lo vedo perché tale è – fosse quasi infallibile in ogni sua interpretazione». Le strade si dividono perché Agostino legge il Vangelo nel contesto nel quale egli vive: davanti all’eresia occorre affermare la divinità del Verbo e la sua uguaglianza con il Padre, Chiara invece lo legge a partire dal suo carisma, l’unità.

Nelle sue conversazioni sulla spiritualità cita sovente Agostino: la sua dottrina sull’Eucaristia, la volontà di Dio, l’ecclesiologia… La profonda sintonia rimane comunque sui temi della carità e dell’unità. «E soprattutto – leggiamo in una sua conversazione - pensiamo a sant’Agostino, per il quale l’amore reciproco e l’unità avevano il supremo valore. È a lui che noi ci sentiamo, infatti, particolarmente vicini». Cita volentieri l’inizio della Regola: «Il motivo essenziale per cui vi siete insieme riuniti è che viviate unanimi nella casa e abbiate unità di mente e di cuore protesi verso Dio».

Accoglie poi la descrizione che Agostino dà della Chiesa confrontandola con quanto si vive nella Mariapoli: «Di essa, splendido fiore della Chiesa – nato sul e per e nel comandamento nuovo di Gesù –, ci sembrava di poter ripetere quanto Agostino diceva della Chiesa: “Ciò che Babele disperse / la Chiesa raccoglie; /da una lingua ne vennero tante; / non ti meravigliare: / questo l’ha fatto la superbia. / Molte lingue diventano una; / non ti meravigliare: / questo lo fa l’amore”».

La Chiesa, sin dalla sua fondazione, era carità, era comunione – Agostino dice che essa consiste nella «comunione di tutto l’orbe». «Mi è parso di capire che alla nostra Opera si poteva dare un nome, il nome che Agostino dava spesso alla sua Chiesa: Carità».

Pensando alla vita di comunione tra le persone con le quali viveva in focolare, trovava un altro elemento di sintonia con l’amicizia agostiniana, ed amava citare Le Confessioni: «I colloqui, le risa in compagnia, lo scambio di cortesie affettuose, le comuni letture, i libri ameni, i comuni passatempi ora frivoli ora decorosi, i dissensi occasionali, senza rancore, come di ogni uomo con se medesimo, e i più frequenti consensi, insaporiti dai medesimi, rarissimi dissensi; l’essere ognuno dell’altro ora maestro, ora discepolo, la nostalgia impaziente di chi è lontano, le accoglienze festose di chi ritorna. Queste e simili segni di cuori innamorati l’uno dell’altro, espressi dalla bocca, dalla lingua, dagli occhi e da mille gesti gradevolissimi, sono l’esca, direi, della fiamma che fonde insieme le anime e di molte ne fa una sola».

La profonda unità teologale sapeva unire l’aspetto altrettanto profondo dell’amicizia umana in tutta la sua concretezza.

Agostino può continuare ancora a ispirare.

 

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