Frans Claerhout, Oblato |
Ogni Oblato, in un certo senso, è un po’ un “artista”! Ogni missionario è
chiamato a comunicare una Verità che, per sua natura, è tutt’uno con la
Bellezza. Annunciare la parola è un’arte. Lo attesta il parlare di Gesù che
sfocia sempre in poesia. L’annuncio della parola diventa spesso un canto. La
parola si visualizza poi nell’immagine e si materializza nell’architettura. È
il cammino dell’incarnazione: il Dio invisibile si rende visibile nel volto di
Cristo, eikôn, “icona-immagine”
divina perfetta (cf. Col 1, 5).
L’avevano ben compreso Sant’Eugenio e i suoi primi missionari. Ogni loro
missione al popolo richiedeva l’arte oratoria, il canto, la teatralità di
alcune cerimonie… Già nel 1826 sant’Eugenio fece stampare una Raccolta di canti e di preghiere ad uso dei
Missionari Oblati di Maria, detti di Provenza. Fu seguito da molti altri
Oblati, che scrissero inni e pubblicarono raccolte di canti nelle più diverse
lingue, per coinvolgere nella preghiera i nuovi cristiani. Tra i tanti possiamo
ricordare Alfred Chambeuil che pubblicò in lingua montagnese (1853), Jean-Régis
Déléage in maskégon (1860), Nicolas Burtin in mohawk (1873), Mons. Jules-C.
Cénez in sisuto (1898), Constant Chounavel in tamil (1896) e in singalese
(1911), Joseph Hippolyte e Swaminader Gnanaprakasar ancora in tamil (1902 e 1903), Henri Jacobi
in nama o hottentot (1908), Léon Carrière in otchipwé (1910), Jean Guidard in
algonchino (1914-1916), e potremmo continuare con una lista infinita.
Nel campo della musica la storia delle missioni oblate conosce dei veri e
propri musicisti. P. Pierre Nicolas (1812-1903) “principe dell’armonia”, come
lo chiamava Mons. Léonard Berteaud, vescovo di Tulle, promosse un
rinnovamento musicale nell’ambito pastorale, pubblicando una Raccolta di Cantici ritmati (Paris,
1885). Simon Scharsch (1860-1928) ha pubblicato molte composizioni sacre, tra
cui possiamo ricordare Jesu dulcis amor
meus e Jesu dulcis memoria.
L’Università di Ottawa, retta dagli Oblati, in risposta al Motu proprio di Pio X e alla Costituzione Divini cultus di Pio XI, nel 1831 istituì una “Scuola di musica
religiosa”.
Wilfried Joye, Oblato |
Le stesse motivazioni apostoliche animano p. Chounavel, versato nell’arte oratoria, musicista, pittore. Al termine della missione a Trincomalee, nello Sri Lanka, dipinge lo stendardo della confraternita maschile di san Giovanni Battista con l’immagine del Precursore. Dipinge inoltre le stazioni della via crucis e altri grandi quadri.
Occorrerebbe menzionare gli Oblati che hanno lavorato per valorizzare e salvaguardare l’arte indigena. Un esempio per tutti: a P. Charles Arnaud, dopo cinquant’anni di lavoro missionario tra gli autoctoni del nord est canadese, si deve l’allestimento del museo di storia naturale nell’Università cattolica di Ottawa, a p. Louis Doazan quello della cultura contadina in Corsica.
Se dal passato dovessimo venire al periodo più recente e al presente troveremmo un non minor numero di Oblati dediti a musica, pittura, scultura, architettura, cinema. Vi sono artisti con una notorietà a livello mondiale, Frans Claerhout e Wilfried Joye in Sud Africa, Joseph Tsupa Sueho in Giappone. Ma anche scrittori e poeti come James Flavin negli USA, René Fumoleau in Canada, Andrzej Madej in Tuskmenistan…
L’evangelizzazione non può fare a meno dell’arte. Nel messaggio che Paolo
VI consegnò agli artisti in Piazza San Pietro l’8 dicembre 1965 alla chiusura
del Concilio, si legge: «Il mondo in cui viviamo ha bisogno di bellezza per non
oscurarsi nella disperazione. La bellezza, come la verità, è ciò che mette la
gioia nel cuore degli uomini, è il frutto prezioso che resiste all’usura del
tempo, che unisce le generazioni e le congiunge nell’ammirazione». Il 7 maggio
1964 li aveva convocati nella Cappella Sistina e aveva lanciato loro la grande
sfida: «carpire dal cielo dello spirito i suoi tesori e rivestirli di parola,
di colori, di forme, di accessibilità».
È una sfida che anche i missionari hanno raccolto.
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