mercoledì 2 febbraio 2022

Com-passione / com-mozione


 
Nel senso comune è sinonimo di “commiserazione”, che vuol dire piangere sulle miserie altrui. Spesso a questo si riduce la compassione, fino a sembrare un sentimento vile, per persone deboli. Sarebbe già tanto, perché il più delle volte si irride la miseria dell’altro, o la si evita, perché fa paura, ci sentiamo a disagio, non sappiamo come comportarci: meglio ignorarla. La compassione non è tuttavia commiserazione, è un’emozione molto più nobile e di più ampio respiro. 

“Com-passione” è vivere insieme all’altro la medesima passione che egli sta vivendo, è entrare in sintonia con il pathos che agita il suo animo, è condividere un sentire comune. Perché l’altro è parte di me, nel bene e nel male e il suo mondo, i suoi sentimenti, i suoi problemi non mi sono estranei. 

La compassione nasce da uno sguardo di “sim-patia” (ancora una volta: avere in comune lo stesso pathos!), capace di generare una corrente di affetto che mi fa assumere come mio ciò che l’altro sta “patendo”. È forse la più disinteressata e la più concreta espressione dell’amore. Non è invasione di campo, intrusione indebita e indiscreta nel mondo dell’altro, ma offerta di prossimità, di amicizia, che dice semplicemente: possiamo darci una mano? 

Così la compassione, quando è autentica e disinteressata, si tramuta in “com-mozione”: il cuore non solo sente, percepisce, capisce, fa sua la situazione che gli sta davanti, ma avverte il bisogno di “muoversi verso l’altro”, si attiva per una concreta azione di risposta. Questo sia nei rapporti personali, sia davanti alle sfide e alle necessità della società, fino a calarvisi dentro con una pregiudiziale positiva per “essere con”, per “vivere con”, nel desiderio di offrire una risposta, come si può, fin dove si può... Dietro si suppone sempre un amore sincero, non una commiserazione, ma una autentica “passione”.

Nessun commento:

Posta un commento