mercoledì 31 gennaio 2018

Pregare per le vocazioni, una verifica per chi ce l’ha già / 1


Rispondendo a una richiesta del Capitolo Generale, il Superiore Generale, p. Louis Lougen, ha annunciato un "Anno delle Vocazioni Oblate" dall'8 dicembre 2017 al 25 gennaio 2019
È bello pregare e riflettere sulle vocazioni alla vita Oblata. Ci fa bene parlare delle vocazioni alla vita oblata. Non soltanto perché si stanno diradando e quindi ci è richiesto un rinnovato impegno perché la nostra Famiglia religiosa continui a vivere e a svilupparsi sempre più per il bene della Chiesa. Ma anche perché parlare delle “vocazioni” ci aiuta a riflettere sulla nostra stessa vocazione. E questo vale per tutti, non soltanto per gli Oblati.
Lasciamo che siano le Regole a parlarcene.


La Costituzione 52 ci ricorda che Dio continua a chiamare oggi come sempre (e questo ci dà sicurezza e pace) e che chiama attraverso di noi (e questo ci dà senso di re­ pensabilità e timore di Dio). Dio chiama, continua la Regola, con la mediazione 1) della qualità di vita, 2) dell’annuncio profetico, 3) della preghiera.
In queste tre mediazioni è riassunto il pensiero di sant’Eugenio de Mazenod riguardo alle vocazioni e insieme il suo appello ad una continua revisione di vita per quanti, come noi, hanno già ricevuto la vocazione oblata e vi hanno risposto (ma ogni giorno dobbiamo rispondere in maniera nuova).


1.        “Dobbiamo essere consapevoli che, dalla gioia e dalla generosità delle nostre vite, altri sono invitati a rispondere a questa chiamata”.

Gioia e generosità sono dunque le caratteristiche dell’Oblato. La prima dice la qualità del nostro rapporto con Gesù e della vita fraterna, la seconda la qualità della nostra missione. È questo che si dovrebbe vedere in noi: gioia e generosità.  Persone che sanno per chi vivono e per cosa vivono; persone contente, che si dedicano al proprio ideale di vita con convezione, senza risparmiarsi.
Sant’Eugenio sperava che i seminaristi presso i quali lavoravano gli Oblati fossero attratti alla nostra vita dal loro “buon esempio”, dalla “regolarità” e dalla “sublimità del ministero” a cui si erano consacrati (Testi scelti = Ts 411). Bisogna che si convincano, diceva ancora, che da noi troveranno “uomini di Dio” (Ts 416). Ai missionari in Canada scriveva: “bisogna sperare che il buon odore delle vostre virtù attiri qualcuno” (Ts 417). “Il mezzo più efficace per ottenerli (gli operai per la messe) e quello di essere sempre ciò che dobbiamo essere” (Ts 414).

Ciò che attira, oggi come allora, è una vita bella, vera, piena di senso, interamente donata, che faccia dire: “vale la pena vivere così”. Ciò che attira è una comunità che ha il sapore della famiglia, dove ci si vuole bene sul serio e si è veramente fratelli; una missione che si pone autenticamente al servizio del Vangelo per l’edificazione di una umanità nuova.


Quando era ancora bambino fui colpito dalla diversità di P. Carlo Irebicella rispetto agli altri preti di Prato, la mia città natale. Il suo rapporto con la gente così semplice, immediato e profondo e la sua intraprendenza apostolica mi hanno segnato. Quando poi, per la prima volta, misi piede nella comunità oblata di Firenze fui affascinato dall’atmosfera di famiglia che vi regnava, mai sperimentata nel seminario diocesano dal quale provenivo, che pure amavo tantissimo. Furono queste testimonianze di vita che mi fecero capire che questa era la mia strada.
Ci vogliono “uomini di Dio” (dovremmo essere tali) e “sublimità di ministero” (tale dovrebbe essere l’ambito e la modalità del nostro lavoro). Ci vogliono tutte e due le cose.

Oggi nella nostra società l’immagine, il design, il look, il logo hanno un’importanza fondamentale. Non è il caso nostro. Qui non basta la facciata, l’apparenza. Può andare bene per una pubblicità di superficie, che incanta per qualche tempo. Non certo per far decidere di una vita.
Non dobbiamo preoccuparci di dare testimonianza. Siamo chiamati semplicemente a vivere con coerenza. Se pochi condividono la nostra vita e la nostra missione dobbiamo domandarci - tutti - se la nostra vita è vera, pienamente vissuta, coerente, e quindi credibile.


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