venerdì 29 luglio 2011

Il Crocifisso del Novecento

Jean-Michel Alberala parlando delle terribili crocifissioni di Francis Bacon, dove Gesù è ridotto a carne da macello, afferma: “Per me, non si tratta più della crocifissione nel cattolicesimo, è semplicemente il corpo dell’uomo occidentale dopo Auschwitz”.
È così. Nel Novecento il Crocifisso, nella maggior parte dei dipinti, non esprime più il divino, ma l’umano. È lo specchio dell’umanità devastata dal senso di smarrimento davanti alle guerre, dai genocidi, dalle ingiustizie.
Edvard Munch nel 1893, quando dipinse il suo quadro più famoso, Il grido, sembrò anticipare il sentimento tragico del Novecento. L’artista ne rievoca le origini: «Passeggiavo con due amici quando il sole tramontò. Il cielo divenne all’improvviso di un rosso sangue. Io mi fermai, mi appoggiai stremato a un parapetto. Il fiordo di un nero cupo, bluastro, e la città erano inondati di sangue e devastati dalle fiamme. I miei amici proseguirono il cammino, mentre io, tremando ancora per l’angoscia, sentii che un grido senza fine attraversava la natura». All’inizio del nuovo secolo,  nel 1900, in Golgota, ritrae se stesso nel Cristo sulla croce: il grido che aveva sentito mentre passeggiava lungo il fiordo, lo sente riecheggiare nuovamente nel grido di Gesù sulla croce.

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