mercoledì 28 maggio 2025

Sui passi di p. Gérard

L’Africa era stato forse il primo progetto al quale Eugenio aveva lavorato pensando alla diffusione dei suoi Oblati. Durante un suo viaggio ad Algeri andava ripetendo: «Qua ci vorrebbero proprio gli Oblati. L’Algeria ci chiama». Poté mandarvi i suoi missionari solo alla fine, quando erano già nate le missioni in America e in Asia. Nell’Algeria, tanto desiderata, le cose non andarono bene e fu costretto a ritirare tutti i suoi.

Intanto la Provvidenza pensava a scegliere la strada giusta. Questa volta fu proprio da Roma che arrivò la richiesta d’aiuto. Nel Sudafrica c’erano solo due vescovi e a Propaganda Fide non si riusciva a trovare chi potesse andare in quelle regioni. Dopo aver domandato invano ai Maristi, ai Gesuiti, ai Padri dello Spirito Santo, tutti privi di uomini adatti, ci si rivolse a mons. de Mazenod. La Congregazione non contava ancora 200 membri e il fondatore, che già aveva mandato i suoi Oblati ai quattro venti, si domandava come rispondere a questa nuova chiamata della Chiesa. C’era una sola persona con cui potesse veramente consultarsi: Gesù Eucarestia. Il Giovedì santo, mentre visita le varie chiese della sua città, gli domanda cosa bisogna fare. Poi la risposta: «La richiesta viene da Dio, non c’è dubbio, si tratta della salvezza delle anime! Nessuno di noi aveva pensato a questa missione. Ci viene proposta dalla voce di cui si serve la Chiesa, la Congregazione di Propaganda Fide. Non c’è dubbio, questa chiamata viene sicuramente da Dio».

Il primo gruppo di missionari arriva nel Natal il 15 marzo 1852. Prima di partire, Eugenio aveva consacrato vescovo uno di loro, p. Allard, che aveva richiamato dal Canada. Il compito affidato a questi primi Oblati non era facile: etnie mai conosciute, senza saper niente né della loro lingua, né dei loro costumi, e senza che nessuno potesse iniziarli.

Viste le difficoltà, Eugenio invia subito altri tre Oblati, tra i quali c’è il giovane Giuseppe Gérard, ancora diacono. Il mare però non conosce l’urgenza del vescovo di Marsiglia e la tempesta – come ho già ricordato –, invece di trasportarli in Africa, spinge la nave molto ad Ovest nell’Atlantico. E un viaggio che dura ben otto mesi.

Con l’arrivo dei nuovi missionari si può iniziare la penetrazione tra le popolazioni interne. Gli zulu, vedendo arrivare i nuovi visitatori, li accolgono festosi e curiosi. Ma, all’infuori della curiosità, per il momento c’è ben poco d’altro. Unico risultato è il battesimo di qualche bambino morente.

Eugenio, leggendo le relazioni che gli giungono dall’Africa, non riesce a capire come mai, a differenza di tutte le altre missioni, questa sia la sola che non produce alcun frutto. Sette anni di duro lavoro senza nessun risultato apparente. Ma ormai egli conosce la logica del Vangelo e sa bene che il chicco di grano, per dare frutto, deve morire.

Negli ultimi giorni della sua vita, pur avendo visto fino ad allora solo il marcire del chicco di grano, scorge già, nella fede, lo sbocciare della vita nuova: «Verrà il momento in cui la grazia misericordiosa di Dio produrrà come un’esplosione, e la Chiesa africana si trasformerà. Per arrivare a questo forse occorrerà penetrare un po’ più avanti tra le tribù indigene. Se ne troverete di quelle... che ancora non siano venute in contatto con i bianchi, riuscirete certamente».

Era un’autentica profezia che si realizzò al di là delle montagne, nel Basutoland, soprattutto per opera di p. Giuseppe Gérard, che diventerà “l’apostolo dei Basuto”, proclamato beato da Giovanni Paolo II, andato in Lesotho espressamente per questa beatificazione. Qua nel cortile c’è ancora la “papamobile” usata in quella circostanza (anche se in pessime condizioni; gli Oblati polacchi dovrebbero venire a prenderla per un loro museo...).

La mia mattina comincia con la visita al cimitero degli Oblati: 131! C’è anche l’elenco dei 75 missionari sepolti altrove: tra questi p. Gérard di cui andrò a venerare la tomba qui a Roma del Lesotho, e p. Allard, sepolto al Verano a Roma d’Italia, dove era venuto per partecipare al Concilio Vaticano I.



Due ore di viaggio verso Tsikoane, dove mons. Allard e p. Gérard giunsero nel 1862, obbedienti al mandato di Mons. de Mazenod, di inoltrarsi ancora. Una lunga spedizione li aveva portati a Bloemfonteine, nello Stato Libero d’Orange e dà lì nel confinante Basutholand. Ho fatto anch’io nel 2013 tutta la strada che da Pitermaritzburg porta a Bloemfonteine, e mi ero immaginato la prima spedizione dei dui a cavallo… ma mi ero fermato a Bloemfonteine. Ora sono giunto anch’io ai piedi della montagna di Tsikoane, dove furono accolti da Molapo, il figlio del re Moschoeshoe e indirizzati a lui, che abitava sulla montagna di Thaba-Bosiu.

Il mio viaggio è stato più facile di quello dei primi missionari, ma sono sicuro che anche loro sono rimasti incantati del paesaggio...





Quando mons. Allard e p. Gérard accanto alla casa del capo Molapo si accasciarono ai piedi di un albero stanchi morti. Quell’albero non c’è più, in compenso c’è una targa che lo ricorda… 






A due passi oggi c’è una cappella-santuario che ricorda il primo arrivo di p. Gérard tra i Basoto. Nella cappellina trovo 9 prenovizi con un piccolo gruppo di altre persone che dicono il rosario. Qui hanno la devozione lunga: stanno terminando le venti poste del rosario con la recita di tutte e quattro le serie dei misteri. Segue la messa e se ne vanno un altro paio d’ore: ma in effetti che altro abbiamo da fare se non pregare e intrattenerci tra di noi; anch’io sono invitato a condividere la mia esperienza…



 Dopo pranzo al prenoviziato, in questo luogo-santuario che oggi si chiama Leribe Maryland colloquio con i prenovizi. Tutto intorno le nostre belle scuole con tanti ragazzi che hanno prati a sfare per giocare.

Sulla strada del ritorno sosta al luogo dove nel 1875, 13 anni dopo essere entrato in Lesotho, p. Gérard fonda la missione di Santa Monica, vicino a dove aveva incontrato il capo Molapo: vi rimarrà 20 anni; anni difficili, di solitudine, di povertà, dove iniziano finalmente le prime conversioni…

La chiesa costruita da p. Gérard non c’è più: al suo posto una campana e una lapide di ricordo. Accanto la nuova chiesa e accanto ancora… la moderna cattedrale. Quella povera missione oggi è il centro della diocesi!






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