Questi giorni sono al Mazenod Conference Center, vicino la
tipografia degli Oblati e più avanti la parrocchia Regina Mondi. Oggi è il
giorno anniversario della morte del beato Giuseppe Gérard, ma la festa è
rimandata a sabato, perché oggi si celebra l’Ascensione. Questa mattina presto
due contadini hanno arato il terreno dell’orto attorno alla nostra casa, il
sarto che ha il suo atelier sulla strada continua a cucire, ma per il resto
oggi non si lavora, è festa anche civile oltre che religiosa.
La chiesa è gremita. È tutto un canto dall’inizio alla fine. L’omelia un autentico teatro, con dialogo tra prete e popolo, canti, battiti di mani. Tutta la messa è intensamente partecipata. Due ore passano in un soffio.
Dopo la messa le varie associazioni si riuniscono nei locali attorno alla chiesa per i loro incontri di formazione e di lavoro: si sono portati con sé il pranzo a sacco.
Tutti vestiti a festa. I
colori sono sobrii, non così forti come in Camerun. Molte le divise delle varie
associazioni, da quella di sant’Anna a quella della carità. Belli i costumi
tradizionali: uomini e donne vestono eleganti coperte.
La pietà è sincera. Guardo il quadro accanto all’altare con
la foto di p. Gérard e penso a come deve essere meravigliato e contento nel
vedere tanta fede. Quanto ha tribolato per avviare la vita cristiana da queste
parti: sembrava impossibile a causa della poligamia, le iniziazioni e i riti
pagani, la forte opposizione di calvinisti e protestanti… Eppure con la sua
tenacia e la sua preghiera è riuscito, anche se ci sono voluti anni e anni.
Il suo metodo apostolico è famosissimo: persona per persona:
“Essere più gentile, accostabile con tutti (un padre e dei
figli). Bontà, affabilità con i giovani»
«Accogliamo tutti sempre bene. Non devo dimenticare di
salutarli, di stringere loro la mano, di chiamarli per nome...»
«L’apostolato della conversazione. Quest’apostolato
spicciolo, sermo pedestris, si esercita per strada, nei campi, accanto
al focolare, al capezzale del malato. Quante anime salvate in questo modo,
soprattutto quando il cuore aiuta la parola».
«Si catturano più mosche con una goccia di miele che non con
un barile di aceto. Per convertire qualcuno bisogna anzitutto conquistarsi il
suo cuore. Presso gli indigeni non si può ottenere nulla se non si conquista il
loro cuore. Se riuscirete a farvi amare, avrete conquistato la persona che
avvicinate».
«… i Basotho, i Matebele… Vedendoli uno può domandarsi che
cosa fare per convertirli. La risposta si trova in tutte le pagine del Vangelo:
amarli nonostante tutto, amarli… Il mondo appartiene a chi lo ama di più e ne
dà la prova».
«Penso volentieri a un sacerdote, a un missionario Oblato di
Maria Immacolata in una missione. È uno che osserva tutto con i suoi occhi,
conosce con il suo cuore, porta la gioia con la sua presenza, si fa tutto a
tutti per guadagnarli a Cristo. Con una carità intraprendente sa servirsi di
tutto; ma non si accontenta di questi rapporti interpersonali, sacerdote di
tutti, ma non abbastanza sacerdote di ognuno. Questo sacerdote coglierebbe l’occasione
di dare a ognuno in particolare attenzioni personali, dirette del suo zelo, di
modo che ognuno è certo di essere amato personalmente da lui».
Arrivato in Lesotho si diresse dunque ad incontrare il re Moschoeshoe
sulla montagna di Thaba Bosiu. Il re diede ai missionari un appezzamento di
terreno a una decina di chilometri dalla sua rocca. Lì fondarono il Villaggio
della Madre di Gesù, poi chiamato “Roma”.
Per trovare quell’altare, in mezzo ai prati, ci vuole una guida esperta come quella chi ho la fortuna di avere questi giorni, Patricia, la ragazza che lavora negli archivi oblati. L’altare è lì dimenticato, in una proprietà privata, in mezzo a ruderi che case antiche. Foto assieme a p. Michael che ha la pazienza di farmi da autista...
Costruì poi la chiesa di san Michele, che divenne la seconda
missione dopo il Villaggio della Madre di Gesù. Visito anche i ruderi di questa
chiesa. Vicino la nuova chiesa, bella, spaziosa. Il Parroco mi accoglie con
gioia. Parla bene l’Italiano per aver studiato a Roma. In chiesa trovo uno dei
busti più belle di p. Gérard e davanti un piccolo cappello tipico del Lesotho. Me
lo faccio regale come “ricordo”, meglio, come “reliquia. Gli prometto che se
organizza un grande pellegrinaggio per celebrare ancora una Messa sull’altare
di p. Gérard vengo appositamente…
Infine la visita all’archivio degli Oblati. Ma questo è
tutto un altro capitolo.
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