venerdì 2 maggio 2025

Fontem c’è ancora

L’altro ieri i due giovani meccanici sono dovuti tornare a Dschang e poi di nuovo qui con un pezzo di ricambio, infine sono riusciti a far ripartire la macchina. Uno di loro mi ha chiesto: “Non puoi trovarmi un posto come meccanico a Roma?”. E ha precisato, a scanso di equivoci: “nel Lazio!”.



Così siamo potuti partire per Fontem. L’ultima volta era stata nel 2009. Nel diario, il 3 gennaio, scrivevo: «che bella una cittadina senza asfalto, senza macchine, con il distributore di benzina per le moto fatto da una fila di bottiglie di benzina, con la gente che ti saluta, i bambini più piccoli che piangono vedendoti, mentre i più grandicelli sono contenti di salutarti… Tutto cammina al rallentatore, tra la polvere e il verde avvolto da un bel sole…». Mi sembrava tutto bello, sereno. Il 4 gennaio: «Messa nella grande chiesa di Menji. (…) A mano a mano che ci si avvicinava alla chiesa, le strade di terra rossa di riempivano di gente con i vestiti più belli e più colorati. (…). Canti, danze, partecipazione vivissima. (…) Abbiamo poi contemplato Fontem dalla "pietra di Chiara", dove lei ha “visto” quello che sarebbe stata Fontem». Il diario di allora è ricco di mille particolari…



Oggi è un po’ diverso. C’è stata la “crisi”, come la chiamano qui (non usano mai la parola guerra!). Si vedono tante case distrutte… Anche qui violenze a non finire. Le persone, durante i momenti più bui, si erano rifugiate nel Centro Mariapoli e da lì erano poi fuggite attraverso la foresta. Oggi il Centro Mariapoli è vuoto…






Visitiamo la chiesa, riaperta da quasi un anno: è venuto il vescovo a riconsacrarla e adesso il parroco è il primo dei sei preti originari di Fonjumetaw. L’ospedale è ancora aperto, ma con prestazioni molto ridotte; davanti la statua di Chiara con i bambini, un segno di benedizione e di speranza. 




Anche il collegio quest’anno è stato riaperto; vi sono quasi 200 studenti. Tutto ricomincia lentamente. La città posta sul monte passa la sua purificazione: sta rinascendo lentamente, nel silenzio, nel nascondimento, nella speranza.

Nel cammino da Fonjumetaw e Fontem ci siamo fermati nella parrocchia di Fotabong. Anche questa chiesa è stata costruita da Celso. Successivamente è stata ingrandita due volte per il crescente numero di cristiani; oggi la maggior parte sono fuggiti lontano, lasciando spopolata la zona.

Sulla strada del ritorno ci prende la pioggia e la strada si fa difficile. Troviamo un camion impantanato; occorre un bel lavoro per tirarlo fuori, ma intanto ha rovinato ancora di più la strada e anche per la nostra macchina passare è un’impresa. Fa parte della normalità della vita.


Infine Fotò, un’altra delle tante chiede costruite da Celso. La nuova chiesa non è andata avanti a causa della “crisi” e la vecchia è stata devastata. Adesso le persone si ritrovano e si celebra la messa nelle case, come una volta. È la storia di sempre della Chiesa. 




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