domenica 24 maggio 2020

I silenzi del Risorto / 17 /

Le parole del Risorto... Bisognerebbe meditare anche sui suoi silenzi.
Quando, pieni di gioia, i due discepoli di Emmaus tornarono a Gerusalemme, trovarono una sorpresa: “Davvero il Signore è risorto – dissero loro gli Undici e gli altri discepoli riuniti – ed è apparso a Simone” (Lc 24, 34). “Come?”, avranno chiesto i due di Emmaus. “Se il Signore stava con noi come poteva essere anche qui a Gerusalemme?”. Piano piano tutti iniziano a prendere coscienza che Gesù non è più limitato dal tempo e dallo spazio, ma contiene in sé tempo e spazio, ed è presente ovunque e sempre: è il compimento della sua incarnazione.

Gesù è dunque apparso a Simone.
Secondo l’evangelista Luca, Pietro è il primo a cui Gesù risorto si mostra. Lo stesso fa intendere Marco (16, 7) e, prima di lui, lo stesso Paolo, che riporta una antica formula tramandata dall’inizio, da lui ricevuta e trasmessa a sua volta:
“che Cristo morì per i nostri peccati secondo le scritture
e che fu sepolto
e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture
e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici” (1 Cor 15, 3-5).
E cosa disse a Pietro?
Ci sono altre persone, racconta Paolo, a cui Gesù si è rivelato: a cinquecento “fratelli”, a Giacomo “fratello del Signore” che più tardi reggerà la comunità di Gerusalemme (1 Cor 16, 6-7). E cosa ha detto loro? Come per l’incontro con Pietro, non ci è tramandata alcuna parola del Risorto.

È apparso allo stesso Paolo, l’unico, tra tutti i testimoni, che racconta il fatto in prima persona. La sua testimonianza torna di frequente nelle sue lettere:
- “Non ho visto Gesù, nostro Signore?”, grida nella prima lettera ai Corinti (9, 1)
- “Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto” (15, 8)
- “E Dio che disse: Rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo” (2 Cor 4, 6).
- “Dio si compiacque di rivelare a me in Figlio suo” (Gal 1, 16)
- Paolo ha conosciuto Cristo e “la potenza della sua risurrezione” (Fil 3, 10).
Chiamata, rivelazione, conoscenza, splendore, visione…, tante parole per dire l’evento, ma non una parola da parte del Signore, né a Paolo, né a Pietro, né ai cinquecento, né a Giacomo…

Sicuramente Gesù avrà parlato a Pietro, ai cinquecento, a Giacomo, a Paolo, ma il suo apparire è un’esperienza così straordinaria, così sconvolgente, che non ha bisogno di parole. Il verbo caratteristico della risurrezione è ōphthē: Gesù “apparve”, si fece vedere. È un’autentica rivelazione che sconvolge la vita. È l’evento che conta, non la sua spiegazione. Gesù stesso è la Parola!
Vi è un contatto diretto, immediato tra il Risorto e la persona a cui egli si rivela, capace di provocare un’unità indicibile, che cambia per sempre la vita.
La forza di affrontare le persecuzioni e la morte, la costanza nelle prove, il coraggio dell’annuncio del Vangelo, l’efficacia della testimonianza provengono da questa esperienza profonda. È questo rapporto personale a dare sapore e senso alla vita.
L'amore non sempre ha bisogno di parole. Spesso cerca il silenzio.


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