Si
riflette molto sugli effetti politici, economici, sociali della pandemia; su come
cambierà il mondo della scuola, del lavoro, dello sport...
Credo
che dovremmo riflettere anche sulle conseguenze ecclesiologiche, sulla missione,
sul nostro stile di vita cristiano.
Questa contingenza, che speriamo passi presto, anche se i tempi si
annunciano lunghi, ci aiuta a ripensare la nostra visione della Chiesa, della missione?
Questo
è un tempo propizio che dovremo sapere interpretare. Occorre una lettura teologica,
sapienziale per cogliere i segni del nostro tempo, per capire quello che, attraverso
questa circostanza, Dio sta dicendo a noi e all’umanità.
Come
Oblati la capacità di visione e di lettura dei segni dei tempi, dovrebbe venirci
dal carisma. Dio ci offre la chance di un nuovo inizio. È l’occasione
per ripartire dall’essenziale, è l’appello per un reset.
La
Rivoluzione francese non operò forse, come oggi la pandemia, un drammatico cambio
di paradigma? Anche allora la Chiesa chiamava a gran voce. Tanti non ascoltarono
quel grido e continuarono a vivere come prima, insensibili alle trasformazioni,
ai nuovi bisogni. “Finalmente tutto è tornato come prima” si dissero tanti preti
quando finì la Rivoluzione, e ricominciarono a celebrare le messe che precedentemente
erano state interdette e a riprendere la loro pastorale ordinaria.
Non
così sant’Eugenio de Mazenod che si sentì fortemente interpellato dal cambiamento dai
profondi cambiamenti. Non sapeva cosa bisognasse fare, non gli era facile leggere
i nuovi appelli. Era troppo impregnato della mentalità dell’Ancien regime che, benché
non l’avesse vissuta in prima persona, gli era stata trasmessa dalla famiglia. Ha
percosso un lento e difficile itinerario di discernimento, fino a quando ha capito
che doveva rinunciare alla propria sicurezza, alla propria santità, che avrebbe
potuto agevolmente raggiungere in un monastero verso il quale si sentiva attratto,
per uscire da sé e dedicarsi alla salvezza e alla santificazione degli altri.
A
questo contribuì notevolmente, come sappiamo, il fatto che, mentre assisteva i contagiati,
lui stesso fu contagiato dal batterio del colera. L’aver vissuto l’epidemia in prima
persona, dal di dentro, lo cambiò e divenne un uomo interamente donato alla Chiesa
e ai poveri.
Come
lui, anche noi dovremmo ripensare la missione. Lodevole la celebrazione delle messe
in streaming. Ma questa nuova situazione non ci insegna altro? Non muove la nostra
creatività?
Ci sono tante esperienze positive tra gli Oblati: un contatto
più ravvicinato – paradossale in questo tempo di isolamento – con il popolo di Dio
a noi affidato, fatto di iniziative per la catechesi ai bambini, con linguaggi e
gesti adeguati come testimoniano i video in circolazione; organizzazione di assistenza
a domicilio delle persone sole, povere, ammalate o comunque bisognose; chiamate
telefoniche personalizzate…
Ma aspettiamo che tutto torni come prima, per rivedere
finalmente le nostre chiese piene (sempre meno, purtroppo)?
Forse ci siamo adagiati troppo sui sacramenti, essenziali,
indispensabili per la vita cristiana, nessuno lo mette in discussione. Ma la missione
domanda di più. Cosa?
Forse questa è l’occasione per pensare ad altri
modelli di apostolato parrocchiale e soprattutto e nuovi ministeri al di là delle
strutture parrocchiali.
Nessun commento:
Posta un commento