Sorpresa: un documento sull’evangelizzazione
incentrato sulla gioia. Non mi risulta che i trattati di missiologia mettano a
tema la gioia. Un anno fa il Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione si
concludeva con l’offerta al papa di 58 “proposizioni” sull’argomento, materiale
dal quale egli avrebbe dovuto attingere per una sua Esortazione apostolica. La parola gioia vi appariva due
volte soltanto, e in maniera del tutto insignificante. L’Instrumentum laboris aveva intitolava il capitoletto conclusivo: “La gioia
di evangelizzare”, ma si trattava appunto di una chiusura indovinata e niente
di più. Eppure il primo annuncio missionario, quello rivolto da un angelo ai
pastore di Betlemme, fu un esplicito annuncio di gioia, anzi, di grande gioia:
“Vi annunzio una grande gioia… oggi vi è nato nella città di
Davide un salvatore, che è il Cristo Signore”.
Nuova nella tematica, l’Esortazione
è tale anche nel modo di esprimersi. Papa Francesco scrive come parla. Il primo
capitoletto – “Gioia che si rinnova e si comunica” – più che leggerlo lo si
ascolta, e si sentono le sue solite espressioni familiari del tipo: “Ci fa tanto
bene tornare a Lui… Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci
stanchiamo di chiedere la sua misericordia”. Anche quando affronta una serie di
riferimenti biblici un po’ formali, non evita di trasmettere il suo sentire
personale; citando il profeta Sofonia scrive ad esempio: “Mi
riempie di vita rileggere questo testo”. Oppure, senza mezzi termini, con stile
colloquiale, denuncia quei cristiani “che sembrano avere uno stile di Quaresima
senza Pasqua”. Non rinuncia neppure ad attingere, come suo solito, a esperienze
personali passate e a confidare “le gioie più belle e spontanee” di cui è stato
testimone. Ancora una volta si dimostra vicino alla gente, che capisce e dalla
quale si fa capire. Sa comprendere anche “le persone che inclinano alla
tristezza per le gravi difficoltà che devono patire”.
L’esperienza e la vicinanza gli consentono di ritrarre fin dalle
prime righe, senza inutili preamboli e in poche essenziali pennellate, un
quadro di efficace contrasto tra la tristezza nel quale nuota tanta nostra
gente e la gioia che caratterizza il seguace di Cristo.
Mi ha colpito l’aggettivo con cui ha colorato la tristezza:
“individualista”; e la sua origine: una coscienza “isolata”. La tristezza si
dimostra infatti figlia di una vita interiore che “si chiude nei propri
interessi”, al punto che “non vi è più spazio per gli altri”. Paradossalmente,
secondo papa Francesco, è proprio l’esclusione dei poveri a dare tristezza.
Sembrerebbe vero il contrario. Eppure è proprio l’amore come apertura, come dono
di sé, come “entusiasmo di fare il bene” - felice espressione -, che dà gioia.
Così,
già dai primi numeri del suo scritto, papa Francesco manifesta in cosa consiste
per lui la gioia: nel rapporto, nella comunione, a cominciare da Gesù, al punto
da farne l’incipit dell’Esortazione apostolica: “La gioia del Vangelo riempie
il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù”.
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