venerdì 30 maggio 2025

Moshoeshoe I, il “leone della montagna”

 

Un membro di un gruppo WhatsApp di cui faccio parte ha chiesto dov’è il Lesotho. Un altro del gruppo ha subito risposto che è nel Sud Africa ed è come San Marino in Italia. Forse sarebbe meglio dire che è come la Svizzera in Europa. È grande volte il Lazio, con 2 milioni e mezzo di abitanti. Ha una sua lingua, una sua cultura, una sua storia… Come nazione si è formata agli inizi del 1800 attorno al primo re, Moschoeshoe I, il “leone della montagna” come lo chiamavano i Boeri. Il suo successore, Letsie III, ama lasciarsi ritrarre con tutta la famiglia, anche in abito tradizionale.

Moschoeshoe, dunque. Oggi sono stato sulla montagna di Thaba Bosiu dove abitava. La montagna si snoda a semicerchio e ogni lato è costituito da rocce scoscese, una autentica fortezza, inattaccabile. Sono salito per uno dei sei sentieri che conducono alla sommità. Di giorno erano facilmente controllabili e difensibili. Di notte… Di notte uno dei consiglieri del re aveva il potere di fare elevare il livello della montagna che si innalzava altissima.

Per accedere alla montagna occorre il permesso del capo del luogo. Impieghiamo parecchio tempo per riceverlo, comunque molto meno di quello di p. Gérard e mons. Allard. Ai piedi della montagna fecero una novena al termina della quale furono ammessi alla presenza del re. Una volta lì c’era una cappella, Betlemme, poi sparita: rimangono poche pietre qua e là.

Una volta raggiunta la sommità, prima di entrare nel vasto altopiano, occorre prendere una pietra e in segno di pace metterla sul cumulo di pietre lungo la strada.

L’alto piano era il regno di Moschoeshoe, con il villaggio reale, nove kraal per le mandrie, la sorgente d’acqua, i pascoli… Rimane poco, ma le abitazioni di pietra, a cominciare da quella del re, permettono di entrare in quel mondo.

Ho visto finalmente un kraal. P. Gérard ne parla tante volte: visitare i kraal, oltre che gli incontri personali, era uno dei momenti più importanti del suo ministero. Il kraal non era soltanto il recinto per le bestie, ma anche il luogo di incontro degli uomini… Accanto a quello che rimane sulla piana di Thaba Bosiu aveva accanto un grande albero piantato dai missionari, la cui ombra offriva un luogo ideale per parlare insieme con la gente. P. Gérard e gli altri missionari tornavano infatti spesso a trovare il re e il suo popolo. Un incendio ha abbattuto quell’albero maestoso che rimane ancora vivo nonostante tutto.

Il cimitero è un luogo che invita alla preghiera. Al centro la tomba di Moschoeshoe. C’è una scolaresca di bambini che rende suo omaggio al padre della patria, cantando l’inno nazionale.

Un’altra tappa nel percorso che mi consente di guardare con gli occhi di p. Gérard.

 

giovedì 29 maggio 2025

Quell'altare sperduto sulla montagna

 

Questi giorni sono al Mazenod Conference Center, vicino la tipografia degli Oblati e più avanti la parrocchia Regina Mondi. Oggi è il giorno anniversario della morte del beato Giuseppe Gérard, ma la festa è rimandata a sabato, perché oggi si celebra l’Ascensione. Questa mattina presto due contadini hanno arato il terreno dell’orto attorno alla nostra casa, il sarto che ha il suo atelier sulla strada continua a cucire, ma per il resto oggi non si lavora, è festa anche civile oltre che religiosa.

La chiesa è gremita. È tutto un canto dall’inizio alla fine. L’omelia un autentico teatro, con dialogo tra prete e popolo, canti, battiti di mani. Tutta la messa è intensamente partecipata. Due ore passano in un soffio.

Dopo la messa le varie associazioni si riuniscono nei locali attorno alla chiesa per i loro incontri di formazione e di lavoro: si sono portati con sé il pranzo a sacco.

Tutti vestiti a festa. I colori sono sobrii, non così forti come in Camerun. Molte le divise delle varie associazioni, da quella di sant’Anna a quella della carità. Belli i costumi tradizionali: uomini e donne vestono eleganti coperte.




La pietà è sincera. Guardo il quadro accanto all’altare con la foto di p. Gérard e penso a come deve essere meravigliato e contento nel vedere tanta fede. Quanto ha tribolato per avviare la vita cristiana da queste parti: sembrava impossibile a causa della poligamia, le iniziazioni e i riti pagani, la forte opposizione di calvinisti e protestanti… Eppure con la sua tenacia e la sua preghiera è riuscito, anche se ci sono voluti anni e anni.

Il suo metodo apostolico è famosissimo: persona per persona:

“Essere più gentile, accostabile con tutti (un padre e dei figli). Bontà, affabilità con i giovani»

«Accogliamo tutti sempre bene. Non devo dimenticare di salutarli, di stringere loro la mano, di chiamarli per nome...»

«L’apostolato della conversazione. Quest’apostolato spicciolo, sermo pedestris, si esercita per strada, nei campi, accanto al focolare, al capezzale del malato. Quante anime salvate in questo modo, soprattutto quando il cuore aiuta la parola».

«Si catturano più mosche con una goccia di miele che non con un barile di aceto. Per convertire qualcuno bisogna anzitutto conquistarsi il suo cuore. Presso gli indigeni non si può ottenere nulla se non si conquista il loro cuore. Se riuscirete a farvi amare, avrete conquistato la persona che avvicinate».

«… i Basotho, i Matebele… Vedendoli uno può domandarsi che cosa fare per convertirli. La risposta si trova in tutte le pagine del Vangelo: amarli nonostante tutto, amarli… Il mondo appartiene a chi lo ama di più e ne dà la prova».

«Penso volentieri a un sacerdote, a un missionario Oblato di Maria Immacolata in una missione. È uno che osserva tutto con i suoi occhi, conosce con il suo cuore, porta la gioia con la sua presenza, si fa tutto a tutti per guadagnarli a Cristo. Con una carità intraprendente sa servirsi di tutto; ma non si accontenta di questi rapporti interpersonali, sacerdote di tutti, ma non abbastanza sacerdote di ognuno. Questo sacerdote coglierebbe l’occasione di dare a ognuno in particolare attenzioni personali, dirette del suo zelo, di modo che ognuno è certo di essere amato personalmente da lui».

Arrivato in Lesotho si diresse dunque ad incontrare il re Moschoeshoe sulla montagna di Thaba Bosiu. Il re diede ai missionari un appezzamento di terreno a una decina di chilometri dalla sua rocca. Lì fondarono il Villaggio della Madre di Gesù, poi chiamato “Roma”.


Ogni volta che p. Gérard andava a trovare il re, a metà strada si fermava per celebrare la messa e costruì un altare sulla collina. Non c’era nessun villaggio d’intorno, ma la gente veniva ugualmente, da chissà dove e da chissà quale richiamo. L’altare c’è ancora. Ho immaginato p. Gérard che da lì, mentre celebrava, guardava la pianura e le montagne circostanti, e sperava e pregava…

Per trovare quell’altare, in mezzo ai prati, ci vuole una guida esperta come quella chi ho la fortuna di avere questi giorni, Patricia, la ragazza che lavora negli archivi oblati. L’altare è lì dimenticato, in una proprietà privata, in mezzo a ruderi che case antiche. Foto assieme a p. Michael che ha la pazienza di farmi da autista...




 

Costruì poi la chiesa di san Michele, che divenne la seconda missione dopo il Villaggio della Madre di Gesù. Visito anche i ruderi di questa chiesa. Vicino la nuova chiesa, bella, spaziosa. Il Parroco mi accoglie con gioia. Parla bene l’Italiano per aver studiato a Roma. In chiesa trovo uno dei busti più belle di p. Gérard e davanti un piccolo cappello tipico del Lesotho. Me lo faccio regale come “ricordo”, meglio, come “reliquia. Gli prometto che se organizza un grande pellegrinaggio per celebrare ancora una Messa sull’altare di p. Gérard vengo appositamente…

Infine la visita all’archivio degli Oblati. Ma questo è tutto un altro capitolo.

 

mercoledì 28 maggio 2025

Sui passi di p. Gérard

L’Africa era stato forse il primo progetto al quale Eugenio aveva lavorato pensando alla diffusione dei suoi Oblati. Durante un suo viaggio ad Algeri andava ripetendo: «Qua ci vorrebbero proprio gli Oblati. L’Algeria ci chiama». Poté mandarvi i suoi missionari solo alla fine, quando erano già nate le missioni in America e in Asia. Nell’Algeria, tanto desiderata, le cose non andarono bene e fu costretto a ritirare tutti i suoi.

Intanto la Provvidenza pensava a scegliere la strada giusta. Questa volta fu proprio da Roma che arrivò la richiesta d’aiuto. Nel Sudafrica c’erano solo due vescovi e a Propaganda Fide non si riusciva a trovare chi potesse andare in quelle regioni. Dopo aver domandato invano ai Maristi, ai Gesuiti, ai Padri dello Spirito Santo, tutti privi di uomini adatti, ci si rivolse a mons. de Mazenod. La Congregazione non contava ancora 200 membri e il fondatore, che già aveva mandato i suoi Oblati ai quattro venti, si domandava come rispondere a questa nuova chiamata della Chiesa. C’era una sola persona con cui potesse veramente consultarsi: Gesù Eucarestia. Il Giovedì santo, mentre visita le varie chiese della sua città, gli domanda cosa bisogna fare. Poi la risposta: «La richiesta viene da Dio, non c’è dubbio, si tratta della salvezza delle anime! Nessuno di noi aveva pensato a questa missione. Ci viene proposta dalla voce di cui si serve la Chiesa, la Congregazione di Propaganda Fide. Non c’è dubbio, questa chiamata viene sicuramente da Dio».

Il primo gruppo di missionari arriva nel Natal il 15 marzo 1852. Prima di partire, Eugenio aveva consacrato vescovo uno di loro, p. Allard, che aveva richiamato dal Canada. Il compito affidato a questi primi Oblati non era facile: etnie mai conosciute, senza saper niente né della loro lingua, né dei loro costumi, e senza che nessuno potesse iniziarli.

Viste le difficoltà, Eugenio invia subito altri tre Oblati, tra i quali c’è il giovane Giuseppe Gérard, ancora diacono. Il mare però non conosce l’urgenza del vescovo di Marsiglia e la tempesta – come ho già ricordato –, invece di trasportarli in Africa, spinge la nave molto ad Ovest nell’Atlantico. E un viaggio che dura ben otto mesi.

Con l’arrivo dei nuovi missionari si può iniziare la penetrazione tra le popolazioni interne. Gli zulu, vedendo arrivare i nuovi visitatori, li accolgono festosi e curiosi. Ma, all’infuori della curiosità, per il momento c’è ben poco d’altro. Unico risultato è il battesimo di qualche bambino morente.

Eugenio, leggendo le relazioni che gli giungono dall’Africa, non riesce a capire come mai, a differenza di tutte le altre missioni, questa sia la sola che non produce alcun frutto. Sette anni di duro lavoro senza nessun risultato apparente. Ma ormai egli conosce la logica del Vangelo e sa bene che il chicco di grano, per dare frutto, deve morire.

Negli ultimi giorni della sua vita, pur avendo visto fino ad allora solo il marcire del chicco di grano, scorge già, nella fede, lo sbocciare della vita nuova: «Verrà il momento in cui la grazia misericordiosa di Dio produrrà come un’esplosione, e la Chiesa africana si trasformerà. Per arrivare a questo forse occorrerà penetrare un po’ più avanti tra le tribù indigene. Se ne troverete di quelle... che ancora non siano venute in contatto con i bianchi, riuscirete certamente».

Era un’autentica profezia che si realizzò al di là delle montagne, nel Basutoland, soprattutto per opera di p. Giuseppe Gérard, che diventerà “l’apostolo dei Basuto”, proclamato beato da Giovanni Paolo II, andato in Lesotho espressamente per questa beatificazione. Qua nel cortile c’è ancora la “papamobile” usata in quella circostanza (anche se in pessime condizioni; gli Oblati polacchi dovrebbero venire a prenderla per un loro museo...).

La mia mattina comincia con la visita al cimitero degli Oblati: 131! C’è anche l’elenco dei 75 missionari sepolti altrove: tra questi p. Gérard di cui andrò a venerare la tomba qui a Roma del Lesotho, e p. Allard, sepolto al Verano a Roma d’Italia, dove era venuto per partecipare al Concilio Vaticano I.



Due ore di viaggio verso Tsikoane, dove mons. Allard e p. Gérard giunsero nel 1862, obbedienti al mandato di Mons. de Mazenod, di inoltrarsi ancora. Una lunga spedizione li aveva portati a Bloemfonteine, nello Stato Libero d’Orange e dà lì nel confinante Basutholand. Ho fatto anch’io nel 2013 tutta la strada che da Pitermaritzburg porta a Bloemfonteine, e mi ero immaginato la prima spedizione dei dui a cavallo… ma mi ero fermato a Bloemfonteine. Ora sono giunto anch’io ai piedi della montagna di Tsikoane, dove furono accolti da Molapo, il figlio del re Moschoeshoe e indirizzati a lui, che abitava sulla montagna di Thaba-Bosiu.

Il mio viaggio è stato più facile di quello dei primi missionari, ma sono sicuro che anche loro sono rimasti incantati del paesaggio...





Quando mons. Allard e p. Gérard accanto alla casa del capo Molapo si accasciarono ai piedi di un albero stanchi morti. Quell’albero non c’è più, in compenso c’è una targa che lo ricorda… 






A due passi oggi c’è una cappella-santuario che ricorda il primo arrivo di p. Gérard tra i Basoto. Nella cappellina trovo 9 prenovizi con un piccolo gruppo di altre persone che dicono il rosario. Qui hanno la devozione lunga: stanno terminando le venti poste del rosario con la recita di tutte e quattro le serie dei misteri. Segue la messa e se ne vanno un altro paio d’ore: ma in effetti che altro abbiamo da fare se non pregare e intrattenerci tra di noi; anch’io sono invitato a condividere la mia esperienza…



 Dopo pranzo al prenoviziato, in questo luogo-santuario che oggi si chiama Leribe Maryland colloquio con i prenovizi. Tutto intorno le nostre belle scuole con tanti ragazzi che hanno prati a sfare per giocare.

Sulla strada del ritorno sosta al luogo dove nel 1875, 13 anni dopo essere entrato in Lesotho, p. Gérard fonda la missione di Santa Monica, vicino a dove aveva incontrato il capo Molapo: vi rimarrà 20 anni; anni difficili, di solitudine, di povertà, dove iniziano finalmente le prime conversioni…

La chiesa costruita da p. Gérard non c’è più: al suo posto una campana e una lapide di ricordo. Accanto la nuova chiesa e accanto ancora… la moderna cattedrale. Quella povera missione oggi è il centro della diocesi!






martedì 27 maggio 2025

Lesotho: il tetto d'Africa

Ieri sera sono giungo a Fiumicino assieme al sole che decide di tramontare al mio arrivo. Stesso tacito accordo quando oggi giungo a Maseru. Da tramonto a tramonto. Quello di questa sera, all’aeroporto di Maseru, l’ho registrato.

Non ero riuscito a fare il check-in on line, strano. Il bello è (diciamo così) che non riescono a farlo neppure a Fiumicino: anche il computer della compagnia aerea si rifiuta. Ci vuole il visto, mi dicono; e il biglietto di ritorno? E quanti giorni rimane? Infine arrivano altri due impiegati per un consulto. Per facilitare l'operazione consegno tutte le mie carte… Conclusione: è un itinerario insolito, complesso, con tre cambi di compagnie aeree… il computer non è stato addestrato a tutto questo. “Insomma lei si fa proprio un bel viaggio, congratulazioni”, conclude la dirigente.

Il volo notturno, è semplicemente notturno. Invece quello diurno, da Addis Abeba a Johannesburg, mi spalanca scenari spettacolari: deserti, laghi, foreste, montagne altissime, coltivazioni… Etiopia, Kenya, Tanzania, Sud Africa…

Dei quattrocento passeggeri con i quali giungo a Johannesburg, sono il solo che mi dirigo verso i voli internazionali. Passo i controlli nel vuoto più assoluto e mi ritrovo su un piccolo aereo con una decina di altre persone dirette in Lesotho. Il volo è breve e a quota relativamente bassa, così posso godermi un panorama per me ancora inedito, soprattutto quando si entra in Lesotho e si scende verso l’aeroporto: le alte montagne che incoronano il piccolo stato, i rilievi rocciosi che costellano la piana, i canyon… tutto esaltato dall’inclinazione giusta del sole e da un cielo che dallo smog plumbeo di Johannesburg si è fatto tersissimo.

Ecco perché chiamano il Lesotho "Il Regno nel cielo", o "Il tetto d'Africa".



All’ingresso devo dichiarare dove vado. “A Mazenod!”. Mi sorridono, hanno subito capito che sono un Oblato. Quello che invece io non sapevo è che Mazenod è proprio lì, dove c’è il piccolo aeroporto con l’unico aereo che è appena atterrato.

Sono a Mazenod! E chi altri, se non gli Oblati potevano dare a questa zona il nome del Fondatore? Inizia così la mia nuova avventura.

lunedì 26 maggio 2025

Sotto la Croce del Sud

Dopo 15 giorni che sono tornato dal Camerun, eccomi di nuovo in partenza, sempre per l’Africa, questa volta per il Sud Africa... con una piccola deviazione.

Quando fui assegnato agli studi oblati, entrai a far parte della Associazione dei rettori dei nove Istituti accademici oblati sparsi in tutto il mondo. Così nel 2011 partecipai al primo incontro annuale, che si teneva a Cedara, nel Sud Africa. Sono poi tornato in Sud Africa nel 2013 per guidare gli esercizi spirituali degli Oblati. Adesso l’Associazione si incontra nuovamente in Sud Africa. Qui ho iniziato e qui termino. 

Prima dell’assemblea dei rettori avrei dovuto tenere un seminario al nostro centro di studio. Poi è saltato, ma intanto mi ero programmato quella settimana. “Questa – mi sono detto - sarà l’ultima volta che andrò in Sud Africa. Perché non approfitto della settimana che si è liberata per andare in Lesotho – nel cuore del Sud Africa – a trovare il beato Giuseppe Gerard? O adesso o mai più!”.

Ed eccomi in viaggio… Spero sia più breve di quello intrapreso da p. Gerard: da Le Havre a Durban impiegò otto mesi. Allora erano i venti a comandare la rotta delle navi, così la sua andrò prima in Brasile poi a Mauritius… Vedremo come va il mio viaggio aereo…

Come p. Gerard lascerò l’orientamento della Stella polare e mi porrò sotto la costellazione della Croce del Sud…

domenica 25 maggio 2025

A spasso per il Borghetto dei fornaciai


Perché non approfittare di questo bel pomeriggio di sole e di vento per fare due passi nella vicina Via di Valle Aurelia? Il borghetto dei fornaciai. Fino agli anni Sessanta c’erano oltre 20 fornaci in attività. Gli operai, dagli inizi del 1900, venivano dalle Marche, dall’Abruzzo, dalla Toscana. Vi abitavano circa 2000 persone, una comunità molto affiatata, una città dentro la città. Ambiente proletario, fatto di anarchici, proletari, socialisti, con la Casa del popolo, le locande, come quella di Mari’ la Sposetta, ma anche la chiesa. 

La demolizione del Borgo degli anni Settanta fu fermata dai comitati di quartieri e da “Italia Nostra”, e oggi c’è ancora un bell’ambiente, con il parco pubblico, il centro anziani con il mercatino… È un bel tuffo in un passato che vive ancora.




sabato 24 maggio 2025

Un monachesimo vivo e gioioso


Chi avrebbe mai immaginato luoghi così belli e un’accoglienza così festosa. Monache e monaci pieni di gioia! I due monasteri, pur distanti un’ora l’uno dall’altro, sono molto legati e si sente tra tutti una comunione profonda.

Dopo la serata di ieri con le monache e la visita al monastero di Camporeggiano, oggi messa nella loro chiesa, con la solennità e la semplicità che si conviene a persone dedite alla contemplazione… e non solo, lavorano come tutti: l’orto, il pollaio, l’artigianato, la fabbrica di biscotti, l'accoglienza… Un’azienda vasta, con edifici per l’ospitalità di giovani, famiglie, persone desiderose di pregare nella calma e nel silenzio. Ma anche con tanti volontari che vengono da più parti per le manutenzioni e dare una mano di qua e di là.

Poi siamo partiti alla volta del monastero dei monaci a quasi un’ora di distanza, sempre tra queste colline verdissime: a ogni curva, su queste strade sterrate, verrebbe da fermarsi ad ammirare il paesaggio in una giornata piena di luce.

Monte Corona, abbazia storica abbandonata, diroccata e ora rifiorita per dare continuità all’esperienza monastica: un Ordine nuovo che prendere le consegne di un Ordine antico.

Solitamente sono i monaci e le monache di questi due monasteri che vengono a Roma per i nostri incontri di studio e di condivisione. Questa volta siamo andati noi da loro, anche se soltanto in pochi, altri non sono potuti venire a causa dello sciopero dei treni…

24 ore, eppure abbiamo vissuto ogni momento con un’intensità che non avremmo immaginato: sembra di essere stati insieme un tempo senza tempo. Anche la comunione delle esperienze e dei progetti è stata particolarmente profonda.

Al termine, monaci e monache, mi hanno chiesto una “lectio magistralis”: in quel clima è stato facile ed è fiorito, in tutta la sua bellezza, il disegno di Dio su quest’opera monastica.







venerdì 23 maggio 2025

In Umbria con la Comunità Monastica di Betlemme

Per due estate consecutive sono stato in Francia nei monasteri della Famiglia monastica di Betlemme, per dare un piccolo contributo allo studio delle origini.

Origini recenti, quando il 1° Novembre 1950, in piazza San Pietro a Roma, Pio XII proclama il dogma dell'Assunzione della Vergine Maria. In quell'occasione infatti alcuni pellegrini sentono la chiamata a impegnarsi affinché nella Chiesa nasca una nuova comunità, la cui vocazione sia quella di partecipare alla vita della Madre di Dio, presente nel cuore della Trinità, dedicandosi all'adorazione del Padre in spirito e verità.

La comunità nasce il 2 febbraio 1951 in un paesino della Borgogna. Oggi i monasteri di monache sono 28, quelli di monaci 3, in 14 paesi.

I monaci e le monache che vivono in Umbria partecipano agli incontri di studio e di lavoro a cui ho dato vita qualche anni fa. Siamo una ventina di persone interessate alla ricerca sulla storia dei nostri fondatori e ci volta in volta ci incontriamo ora dall’uno ora dall’altro. Questa volta ci siamo dati appuntamento nell'Eremo di Monte Corona dove vivono i monaci, ma intanto siamo accolti dalle monache che abitano vicino, nelle colline sopra Camporeggiano.

Le monache giunsero per prime in Umbria nel 1981, e andarono nel monastero di Monte Corona, costruito nel 1530 dai monaci camaldolesi-coronesi che era allora un rudere abbandonato. Dopo nove anni di permanenza, lasciano ai loro fratelli l'Eremo, che nel frattempo cominciava a risorgere dalle sue rovine, e si spostarono sopra Camporeggiano, dove trovano una chiesa dedicata a San Giovanni Battista ed una vecchia scuola entrambe abbandonate e in rovina., dopo aver lasciato l'Eremo di Monte Corona. Con l’aiuto di tanti è stato possibile costruire poco a poco il monastero "Madonna del Deserto".


Eccoci così a iniziare questa nuova avventura…

Siamo accolti come dei principi con un amore attento e concreto. Siamo circondati da verdi colline umbre come fossimo in un paradiso terrestre. I molti ambienti monastici ci introducono in una atmosfera di cielo. Ed iniziamo i nostri colloqui…