lunedì 29 aprile 2019

Le promesse alle 7 chiese dell’Apocalisse



L’Apocalisse, ultimo libro della Bibbia, è un’intera promessa volta all’avvento di cieli nuovi e di una terra nuova. Ci fermiamo al suo inizio, quando Giovanni sentì la parola del Signore che lo invitava a scrivere a sette chiese situate nell’Asia minore, la parte occidentale dell’attuale Turchia. Siamo intorno all’anno 90 e le sette lettere ci danno uno spaccato vivo della situazione dei cristiani di allora. Ogni lettera costituisce un momento della verità rivolto ad ognuna delle comunità destinatarie, con la denuncia dei loro fallimenti e insieme l’elogio del loro impegno nel vivere il Vangelo. Al termine di ogni lettera una promessa. Pur espresse con immagini diverse, le promesse, come vedremo, hanno un contenuto comune. Le leggiamo ad una ad una.

Alla chiesa di Efeso: «Al vincitore darò da mangiare dall’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio» (2, 7). Alla chiesa di Smirne: «Il vincitore non sarà colpito dalla seconda morte» (2, 11). La promessa è quella di poter finalmente mangiare i frutti dell’albero della vita che troveremo nel paradiso che appare al termine dell’Apocalisse, ossia al termine della storia umana (cf. 22, 2). Era l’albero piantato nel giardino dell’Eden, quell’albero che avrebbe dato la vita immortale e che Dio aveva proibito di mangiare. La vita infatti non la si conquista autonomamente con le proprie forze, è sempre un dono da accogliere con gratitudine. La promessa adesso è che si potranno mangiare i frutti di quell’albero e raggiungere l’immortalità, tanto desiderata, partecipando della vita stessa di Dio (Efeso), così da sconfiggere la morte (Smirne).
Alla chiesa di Pergamo: «Al vincitore darò la manna nascosta e una pietruzza bianca, sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi lo riceve» (2, 17). La manna, al pari del frutto dell’albero della vita, è il nutrimento celeste; la pietra bianca, colore della vittoria e della gioia, è come un lasciapassare per il cielo; il nome nuovo indica la rinascita della persona che rende degni del cielo.
Alla chiesa di Tiàtira: «Al vincitore (…) darò autorità sopra le nazioni (…), con la stessa autorità che ho ricevuto dal Padre mio; e a lui darò la stella del mattino» (2, 26.28). La promessa è che la potenza e gloria (questo il significato della stella), propri del Messia e del Signore risorto, sono ora donate a tutta la comunità dei credenti. È il definitivo superamento della debolezza e fragilità umana.
Alla chiesa di Sardi: «Il vincitore sarà vestito di bianche vesti; non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma lo riconoscerò davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli» (3, 5). Le vesti bianche, ancora segno di purezza, gioia, potenza e della bellezza trasformatrice della grazia, indicano che la comunità è partecipe della risurrezione di Cristo e del suo destino. L’immagine del nome di ognuno scritto con inchiostro indelebile nel libro della vita significa che tutta la comunità è resa salda e stabile nella vita nuova, mostrando con chiarezza la propria identità evangelica, tutta amore, al punto che Gesù potrà mostrarla con orgoglio al Padre e agli angeli.
Alla chiesa di Filadelfia: «Il vincitore lo porrò come una colonna nel tempio del mio Dio e non ne uscirà mai più. Inciderò su di lui il nome del mio Dio…» (3, 12). La colonna significa stabilità e bellezza. Ogni membro della comunità entra a far parte integrante della casa di Dio. Per questo può portare il suo nome, nientemeno che il nome di Dio, inciso a fuoco nella nostra più profonda identità! Saremo davvero come Dio.
Alla chiesa di Laodicèa: «Il vincitore lo farò sedere con me, sul mio trono, come anche io ho visto e siedo con il Padre mio sul suo trono» (3, 21). Se abbiamo il nome di Dio, come promesso alla chiesa di Filadelfia, logico che sederemo sul trono del Figlio di Dio, condividendone il destino finale e portandoci nel cuore di Dio.

Tutte queste promesse, che con immagini diverse ci parlano di cielo, di pienezza di vita, di divinizzazione, si compiranno alla fine dei tempi? Proprio quest’ultima immagine che fa vedere seduti sul trovo di Dio, è uguale a quella impiegata dalla Lettera agli Efesini: «Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato (…) ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù» (2, 4-6). Per Paolo è una realtà già attuata (usa il verbo al passato! “ci ha fatto sedere”) per Giovanni è in via di attuazione (“farò sedere”).
Come tutte le promesse di Gesù anche queste, rivolte alle chiese dell’Apocalisse, le possediamo già, anche se non ancora in pienezza, e pur sempre nella speranza del loro compimento. Ne abbiamo la caparra, un pegno, la garanzia. I cieli si sono aperti e già il cuore è proiettato là: «Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria» (Col 3, 1-4). È così, tra l’altro, che si è “vincitori”, parola che torna sette volte nei testi dell’Apocalisse, a indicare i destinatari delle promesse.
Con questa certezza si chiude la serie di questi brevi 18 articoli su alcune delle innumerevoli promesse che Gesù ci ha rivolto.


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