martedì 11 settembre 2018

Saltacancelli, frate all’antica / 1



Nella mia recente e breve visita a Viterbo sono stato ospite dei Cappuccini. Il grande p. Ubaldo Terrinoni mi ha fatto dono di un bellissimo libro con brevi profili di tutti i santi dell’Ordine. L’ho guardato e gli ho detto che ne mancava uno. È rimasto un po’ sorpreso. In effetto quello che manca non è stato dichiarato santo… ma lo è. Così mi sono ripromesso di mandargli quanto scrissi sulla rivista “Prato storia e arte” nel 1983, in occasione del centenario della nascita di p. Evangelista da Prato. Eccone la storia meravigliosa:

“Il P. Cristoforo, descritto dal Manzoni, è il Cappuccino di tutti i tempi e di tutti i luoghi: è la personificazione e l’apoteosi della dedizione completa, onde questi miti Frati curarono il bene di tutti, e portarono il loro validissimo contributo alla vita cristiana dei popoli. Chi disse il Cappuccino, il frate del popolo per eccellenza, non fece che una fedele fotografia di lui; perché, o che egli venisse dalle più alte classi sociali, o dalle ricche famiglie borghesi, o dall’umile ceto degli operai e dei contadini, sempre si è sentito portato agli umili, e per questi ha speso tutte le sue energie, ha con sacrato tutto il suo cuore, ha sacrificato tutto se stesso. Che se ciò è vero per tutti i luoghi. lo è particolarmente in Toscana. In questa regione, così prediletta dal serafico Padre, che conta in essa Conventi e Frati da superare in numero quelli di ogni altra regione, il Cappuccino è tutto del popolo. Lui nelle carceri, lui negli Ospedali, lui nei cimiteri, lui tra i derelitti, lui nelle caserme co’ soldati, nei Seminari coi giovani leviti, nelle fraternità come cappellano e rettore” (T. De Carpi, Per la pietà cristiana, in Memoriale dei FF. Minori Cappuccini della Toscana nel IV Centenario della loro Provincia (1632-1932), edito da P. Felice da Porretta. Firenze 1932, p. 325).

Quando nei 1932, in occasione del IV centenario della Provincia toscana dei Cappuccini, il Prof. Talete De Carpi scriveva queste parole, elogiative e un po’ di maniera, ma sincere, P. Evangelista da Prato stava per terminare il suo servizio all’ospedale di S. Maria Nuova a Firenze. La sua permanenza in ospedale, durata 14 anni e interrotta prima dalla chiamata alle armi e poi da un breve periodo che lo aveva visto Guardiano a Poppi, aveva fatto di lui il classico cappuccino “tutto del popolo”, umile, semplice, alla buona, capace di comprendere e di incoraggiare.
Aveva ormai 50 anni quando lasciò S. Maria Nuova. Aveva già dato il meglio di . Ma gli rimanevano ancora 30 anni da spendere al servizio della gente per i vari conventi della Toscana dove, di volta in volta, lo inviava l’obbedienza: Lucignano, Cortona, Poppi, Borgo S. Lorenzo, Montepulciano, Monte Casale. di nuovo Cortona e finalmente Montughi, a Firenze.

Mi sono chiesto se, a 100 anni dalla sua nascita, valesse la pena rievocare la figura del P. Evangelista da Prato, al secolo - come si diceva una volta - Tommaso Ciardi. Per noi ragazzi di S. Paolo era una istituzione. Mi ricordo quando arrivava a piedi lungo la via S. Paolo ancora sterrata. Spuntava dalla curva del “Fiaschino” con in mano la sua valigetta a fisarmonica e l’ombrello, rari pezzi d’antiquariato. Come si faceva a sapere che arrivava? Semplicissimo! Non c’era nemmeno bisogno che ce lo dicessero. Il canapè della nonna era un indizio più che sicuro: veniva scoperto della fodera, così da mettere finalmente in luce i suoi colori originali, in due sole occasioni: la festa di S. Paolo (quando venivano tutti i parenti da Galciana) e l’arrivo del non meglio identificato “zi’ cappuccino” (solo molti anni dopo ho saputo il suo nome).
A parte i miei ricordi di ragazzo vale la pena tirare fuori dall’oblio questo vecchio cappuccino pratese? Mi sono me so allora a girare per i conventi della Toscana alla ricerca di sue eventuali memorie. Dal punto di vista turistico un viaggio meraviglioso, che mi ha portato nei più bei luoghi del Casentino, in conventi romiti, immersi nei verde dei lecci e dei cipressi, tra paesaggi ancora freschi e silenziosi. Dal punto di vista documentaristico un fallimento. Poche righe qua e là nelle più che scarne cronache dei conventi. Tutt’al più si viene a sapere che con l’eredità proveniente dalla sorella Iginia ha fatto costruire la linea elettrica che da Cortona porta la luce al convento delle Celle. Mi confermo nell’idea che già mi ero fatto di lui: un uomo scarno, di poche parole (non è mai stato un grande oratore), essenziale in tutto.
Se non ha lasciato tracce nelle carte ha lasciato invece un ricordo vivissimo nei frati. Tutti quelli che l’hanno conosciuto me ne parlano con venerazione, direi quasi con affetto.
Un “uomo di altri tempi”, un “frate all’antica”: è il sigillo che quasi inevitabilmente conclude, con tratto sintetico, il ricordo dei frati quando parlano di Fra Tommaso. Elogio, presa di distanza, una venatura di giudizio, o una certa nostalgia? Forse un po’ di tutto questo insieme.

“Tutti conosciamo la vita santa del Padre Evangelista - scrive Fr. Luigi da Firenze, Guardiano di Montughi, all’indomani della sua morte avvenuta il 6 dicembre 1961 -, per cui non vi sarebbe bisogno di tesserne lodi. Tuttavia, se un elogio si deve tributare, si può benissimo esprimere in queste parole: Egli fu un cappuccino ottimo, ripieno dello spirito di san Francesco, indefesso al lavoro, per la gloria di Dio e la salute delle anime” (Luigi da Firenze, Lettera circolare in occasione della morte del P. Evangelista da Prato, Firenze, 7 dicembre 1961).
Potrebbe sembrare un elogio troppo generico, buono per tutti, se non venisse da uno che lo conosceva bene, da uno che fu suo discepolo, forse attratto alla vita cappuccina proprio dal suo esempio eloquente. Quando P. Evangelista era Presidente all’ospedale di S. Maria Nuova, scrive ancora Fr. Luigi nella medesima circostanza, “ebbi la fortuna di conoscerlo, mentre ero ancora nel secolo, ed indelebilmente è impressa nella mia mente la figura ascetica di questo autentico francescano. Alto, magro, svelto, umile, riserbato, gentile: tale mi appariva quando lo incontravo per le vie della città, mentre, infaticabile, si alterna- va tra le opere di bene; io mi voltavo ad osservarlo e lo seguivo con lo sguardo fino a che lo perdevo di vista, come si guarda una figura singolare, un uomo di altri tempi, una creatura che si distacca nettamente da tutti gli altri: un vero uomo di Dio”. (continua)

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