domenica 15 gennaio 2017

Calici vuoti si fanno tabernacolo


La parrocchia non ce l’ho, ma ogni tanto mi capita di parlare a dei “parrocchiani”, come ieri. Ne avevo davanti quasi un migliaio. Ed è per me sempre una gioia indicibile.
Questa volta ho parlato di quel “patto d’unità” che ogni giorno, dopo la comunione, chiediamo a Gesù Eucaristia di compiere “sul nulla di noi”, in modo che di tanti faccia l’uno.
Ma cos’è questo “nulla di noi”, premessa necessaria per questa nuova pienezza?
Il “nulla”, nella tradizione cristiana, richiama abitualmente alcuni concetti:
- Il nulla esistenziale, creaturale, sperimentato già nell’Antico Testamento, che faceva dire: gli uomini «sono come un soffio [si potrebbe tradurre anche: un niente] che va e non ritorna» (Sal 78, 36); sono come fiore del campo, come erba che si secca e fiore che appassisce (cf. Is 40, 6-7). È l’esperienza costantemente rinnovata lungo il cammino dell’umanità, che faceva dire, ad esempio, all’autore dell’Imitazione di Cristo: «Ricordati Signore, che io non sono nulla, non valgo nulla e non ho nulla».
- Il nulla tragico del peccato, frutto dell’allontanamento dalla fonte dell’essere e della vita. Parlando di quanti sono piombati in questo nulla la seconda lettera di Pietro li paragone a «fonti senz’acqua», a «nuvole spinte dal vento: a loro è riserbata l’oscurità delle tenebre» (2, 17).
- Il nulla ascetico, inteso come progressivo distacco da ogni creatura, sensibile o spirituale. San Giovanni della Croce mette in un rapporto inversamente proporzionale l’annullamento di sé con l’unione con Dio: «Per giungere al possesso del tutto, / non voler possedere niente. // Per giungere ad essere tutto, / non voler essere niente. // (...) Per giungere al tutto, / devi totalmente rinnegarti in tutto».
Il “nulla di noi” del patto d’unità è un po’ diverso, è frutto di un amore reciproco che si fa dono totale. Se dai tutto rimane spazio solo per l’altro, solo per Dio: un vuoto che attira pienezza e restituisce sé a stessi, ma nel sé più vero e profondo: Gesù, la vera identità del sé.
Gesù, nel suo abbandono sulla croce, ne è il modello compiuto: ha dato tutto fino a scomparire, con in sé la pienezza dell’intera creazione.
Ce l’ha spiegato tante volta la nostra Chiara: “Per accogliere in sé il Tutto bisogna essere il nulla come Gesù Abbandonato. E sul nulla tutti possono scrivere... Bisogna mettersi di fronte a tutti in posizione d’imparare, ché si ha da imparare realmente. E solo il nulla raccoglie tutto in sé e stringe a sé ogni cosa in unità: bisogna esser nulla (Gesù Abbandonato) di fronte ad ogni fratello per stringere a sé in lui Gesù”.
Siamo davanti all’altro (Dio o il fratello) come un foglio bianco, sul quale l’altro può scrivere…
Nella reciprocità dell’amore – del dono – siamo come “calici vuoti”, subito riempiti da Gesù Eucaristia: da calice vuoti diventiamo un tabernacolo che contiene la presenza di Gesù, diventiamo Chiesa!
È così – vivendo “fuori di sé”, nel dono, nell’amore – si entra nel paradiso di Dio, come in quello del fratello.


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