10 giugno 2011
Ci sono delle parole che si associano inconsciamente a sensazioni indelebili. La parola “Pretoria” fa scattare un meccanismo che mi richiama “il governo di Pretoria”, l’Apartheid, i pretoriani romani, il colore grigio… Oggi questi connessioni hanno subìto la stessa metamorfosi dell’atmosfera. La mattinata è iniziata con il solito freddo intenso, la pioggia, il cielo cupo, fenomeno del tutto insolito qui in questo periodo dell’anno, durante il quale abitualmente non piove mai. A metà mattinata cambio di scena: il sole, un cielo limpidissimo, un’atmosfera stemperata. Così anche la città di Pretoria, vista dal vivo, ha cambiato i colori della mia rappresentazione immaginaria.
Appena arrivo, da Johannesburg, mi si presenta con la sua università dalle linee architettoniche snelle, moderne, fantasiose e insieme sobrie: bella. Le sue strade ordinate, fasciate dai jacaranda, con le foglie minute, d’un verde tenero, che in primavera si colorano di azzurro; pensa, una città azzurra: bella. Le sua piazze, i suoi edifici antichi, le colline su cui è adagiata, la gente allegra, i colori dei negozi…: bella. Il museo di scienze naturali con i dinosauri e i reperti di una della più antica crosta terrestre: bella. Il palazzo del governo su un prato vede, i giardini e le terrazze ricche di aiole e di agave in fiore: bella. Sì, proprio una città bella, luminosa, colorata, sedimentata dalla sua lunga storia, con un suo carattere.
Maria Magnolfi, vecchia amica toscana, me la fa percorrere in lungo e in largo e me ne racconta la storia. È la prima grande città dei Boeri, gli Afrikans, i discendenti dei contadini olandesi impiantati a Città del Capo agli inizi del 1600, costretti dagli Inglesi ad abbandonare le loro terre e ad avventurarsi al nord, verso terre sconosciute. Le loro file sono ingrossare dagli Ugonotti cacciati dalla Francia e costretti a cercare un’altra patria. Famiglie, carri e buoi si avventurano sulle montagne, scendono nella valli, attraversano i fiumi. Attaccati dai bellicosi zulu, braccati dagli Inglesi, sono un popolo costretto a difendersi chiudendosi in se stessi, reinterpretando e ideologizzando l’idea biblica del popolo eletto in esodo verso la terra promessa, cadendo infine nella trappola della filosofia nazista. Occorre tornare in questi luoghi per capirne la tragedia, le sofferenze, gli sbagli. È stato necessario il genio politico di Nelson Mandela perché gli Afrikans non fossero cacciati, ancora una volta, dagli africani neri giunti al potere, ma integrati nel nuovo Sud Africa per la cui vitalità rimangono indispensabili.
A cancellare completamente la mia immagine preconcetta di Pretoria concorrerà anche il cambio di nome; oggi si chiama Tshwane
La meta del nostro viaggio di oggi è incontrare il rettore del seminario nazionale, l’unico del Sud Africa, al quale si aggiunge l’Istituto S. Giuseppe di Cedara tenuto dagli Oblati. Fino a pochi anni fa esso era in mano ai Francescani, oggi è diretto dal clero diocesano. Don Enrico ci accoglie con grande cordialità, ci guida per il seminario, la nuova biblioteca, ci presenta i professori… Veramente fa gli onori di casa per me; Maria è già di casa, vi insegna Sacra Scrittura. Parliamo di studi, di formazione… Roma e Pretoria, così lontane, così vicine.
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