L'acero, qua fuori della mia finestra, sta lasciando cadere le foglie. Ai suoi piedi ne ha un manto. Ogni foglia che cade dice:
Io sono fragile, Lui è resistente.
Io sono debole, Lui è forte.
Io passo, Lui rimane.
Io muoio, Lui vive.
Io sono contingente, Lui è stabile.
Lui mi rende forte e resistente, stabile.
Lui mi fa vivere e rimanere.
Io
nulla, in Lui Tutto, sono tutto.
Ho scritto questa “preghiera” questa mattina, e poco dopo mi
imbatto in questi due testi di sant’Eugenio:
Tutto ciò che esiste è fatto per portare l'uomo a Dio, e il
Creatore diede occhi all'uomo, affinché ammirando un'opera così bella,
glorificasse il sublime Architetto. Interprete della natura muta, ricevette una
lingua per cantare le lodi del Creatore, per benedirlo in suo nome e in nome di
ciò che non ha voce. Il cantico dei tre giovani fanciulli Ebrei nella fornace ci insegna che deve
essere così; e l'uomo deve rendere al Creatore l'omaggio che la formica e il
verme non mancherebbero di rendergli, se, come lui, avessero ricevuto ciò che è
necessario per rendere questo dovere indispensabile al Creatore.

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