31 maggio: eccoci finalmente alla festa di p. Giuseppe
Gérard.
La risveglio la brina imbianca i prati d’intorno. Celebro nella
cappella la prima delle mie tre messe. Concelebro con due oblati che cantano
durante tutta la messa: siamo soltanto noi tre. Sono in due, quindi penso
abbiano cantato a due voci; a me è sembrato un coro a quattro voci!
Sempre con la guida della nostra archivista, parto da dove p.
Gérard ha iniziato e terminato la sua avventura in Lesotho.
Il re Moshoeshoe, ben impressionato dai tre missionari, assegnò
loro una valle dove fondare la missione, poi chiamata Roma! Oggi Roma è una
cittadina con l’università del Lesotho, l’ospedale, scuole superiori maschili e
femminili…
Prima di aprire la missione i tre missionari si fermarono
sotto una grande roccia e costruirono una capanna: è la meta della mia prima
visita del pellegrinaggio odierno. Una scritta bianca sulla rocca ricorda
quegli inizi nel 1862.
La chiesa fu costruita in appena un anno. All’inaugurazione
il re rimase stupefatto. Come hanno potuto costruire la torre campanaria d’ingresso
e tutto il resto in così poco tempo… C’è una bella foto che ritrae p. Gérard,
ormai anziano, solo, in preghiera, nelle prime panche.
Nel 1940 fu esumato il corpo, dal vicino cimitero, e fu
costruita una nuova tomba all’esterno della chiesa. In occasione della beatificazione,
quando venne Giovanni Paolo II, fu costruita la cappella che adesso ingloba la tomba.
Ho potuto celebrare lì la mia messa, e ho preso un po’ di terra dalla tomba,
come reliquia…
Due arazzi raccontano due delle più comuni attività di p.
Gérard: quando a dorso del cavallo Artaban visitava i malati e quanto, sotto un
albero, dava le catechesi. Benché abbia fondato tante missioni, ha speso tutto
il suo tempo prima qui a Roma, poi vent’anni a Santa Monica, poi di nuovo a
Roma, fino alla sua morte.
Quando ormai era immobilizzato al letto, Artaban ogni giorno
partiva da solo, faceva il giro degli ammalati fermandosi il giunto tempo
davanti alle varie capanne, poi tornava a casa…
Ho visitato la cappella della comunità, dove è custodita la
cassa della prima sepoltura, adesso protetta dal vetro perché la gente portava
via pezzetti di legno… Infine, nella casa della comunità, la stanza dove è morto.
Una piccola sorpresa è stata salire nel bosco verso la
montagna, dove si era fatto costruire una casetta – ora completamente in rovina
– per potersi ritirare per la sua contemplazione.
Il pellegrinaggio è continuato inoltrandomi in una vallata
tra due catene di montagna. È il luogo dove, durante la guerra dei Boeri, tutto
il villaggio, con i missionari e le suore, si era rifugiato. Ma dall’alto di
una delle montagne furono visti e divennero oggetto di sparatorie. L’unico
ferito fu il breviario di p. Gérard trapassato da una pallottola. Questo
mattina, sotto la roccia presso la quale la gente si era rifugiata, assisto
alla grande celebrazione della messa con due vescovi e i soliti bei canti. Dopo
la messa inizia la processione dietro la statua della Madonna, con rosari e
canti, fino alla chiesa: un bel cammino di ore.
A sera finalmente la grande celebrazione. La chiesa è gremita
all’impossibile. Il fretto della notte ha fatto svuotare gli armadi delle coperte,
in cui tanti sono avvolti.
C’è il vescovo oblato di Maseru: “Come mai non sei venuto a
trovarmi?... Allora ci vedremo presto a Roma d’Italia per l’incontro dei
vescovi Oblati: saremo 47”. C’è un altro vescovo oblato e un terzo della
famiglia oblata. Una trentina i concelebranti, quasi tutti oblati, venuti da
ogni dove. Festa solenne… che continua durante la notte con l’adorazione, le
catechesi, l’unzione dei malati, fino alla messa conclusiva alle 4 del mattino.
Questo è p. Gérard.
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