lunedì 3 ottobre 2022

Papa Francesco ci ridona la nostra vocazione

Sempre caciaroni questi Oblati, anche su per le scale regie dei palazzi vaticani, anche nella prestigiosa sala Clementina. Poi, una volta seduti, è calato un silenzio d’incanto e un raccoglimento profondo, l’attesa più adeguata per l’arrivo del Papa. Sulle sue gambe, senza sedia a rotelle, pur affaticato, papa Francesco è giunto tra noi facendo esplodere la gioia.

Il nuovo superiore generale gli ha rivolto il saluto in spagnolo, lingua comune ad ambedue. Ho fotografato il papa nel momento in cui ride perché p. Luis gli dice che il tema del Capitolo è lo stesso del giubileo del 2025: “Ma noi l’abbiamo scelto prima!”.

Come bello e profondo il discorso che ci ha rivolto. Lo si può leggere direttamente sul sito vaticano: https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2022/october/documents/20221003-oblati.html

Si rivolge subito al Superiore generale: “Poveretto, preso dal deserto e portato qui a Roma!”. È infatti la prima volta in 200 anni di storia che viene nominato come superiore generale un Oblato che non è membro del Capitolo generale. Sì, l’hanno pescato dal Sahara, da dove si è precipitato a Nemi in fretta e furia.

Subito la nostra identità: “Voi siete una Famiglia religiosa dedita all’evangelizzazione”, siete “sulle strade del mondo, al quale, come discepoli di Gesù e seguaci del vostro fondatore Sant’Eugenio de Mazenod, siete chiamati a portare il Vangelo della speranza, della gioia e della pace”.

Un mondo che il Papa descrive con realismo, “schiavo dell’egoismo e pieno di contraddizioni, di divisioni”, con poveri, guerre, “conflitti che versano sangue sulla storia umana, la situazione angosciante di milioni di migranti e rifugiati, un’economia che rende i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri”. È il nostro mondo, viviamo in 70 Paesi, che “Sant’Eugenio vi ha insegnato a guardare il mondo con gli occhi del Salvatore crocifisso, questo mondo per la cui salvezza Cristo è morto sulla croce”. Qui siamo chiamati ad essere testimoni di speranza. “Essere missionari della speranza significa saper leggere i segni della sua presenza nascosta nella vita quotidiana della gente. Imparare a riconoscere la speranza tra i poveri a cui siete mandati, i quali spesso riescono a trovarla in mezzo alle situazioni più difficili. Lasciarsi evangelizzare dai poveri che evangelizzate: loro vi insegnano la via della speranza, per la Chiesa e per il mondo”.

Testimoni di speranza in comunione. “Per essere missionari di comunione bisogna viverla prima di tutto tra noi, nelle nostre comunità e nei rapporti reciproci, e coltivarla poi con tutti senza eccezioni… camminare insieme”.

Infine: il carisma la visione missionaria trasmesse dal Fondatore “siano e rimangano punti di riferimento per la vostra vita e il vostro lavoro”. Di qui l’invito a “rimanere radicati nella vostra vocazione missionaria, soprattutto vivendo il testamento del Fondatore, nell’amore reciproco tra di voi e nello zelo per la salvezza delle anime. È il cuore della vostra missione e il segreto della vostra vita, e per questo la Chiesa ha ancora bisogno di voi”.

Al termine, dopo la benedizione, il saluto personale, ad uno ad uno. Sono stato l’ultimo a salutarlo e a dirgli che lo portiamo nel cuore e preghiamo per lui.

Un momento di gioia intensa, di grande pace. Un incontro semplice, vero, profondo, che ci ha segnati.




1 commento:

  1. "Per essere missionari di comunione bisogna viverla prima di tutto tra noi, nelle nostre comunità e nei rapporti reciproci, e coltivarla poi con tutti senza eccezioni… camminare insieme”, bellissimo!!!!!!!!!!!!!!!!!

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