domenica 30 ottobre 2022

Le mie parole mensili

Ogni mese, da due anni, sulla rivista “Città Nuova”, pubblico una rubrica di mezza pagina appena, intitolata “In poche parole”. Le parole che ho scritto quest’anno sono: Armonia, Compassione, Ardore, Preghiera, Condivisione, Accompagnamento, Essenziale, Mitezza, Effimero, Perseveranza, Animare.

Dopo che sono apparse sulla rivista le pubblico su questo mio blog. Il resoconto automatico delle statistiche mi dice che i blog che riportano queste parole sono i meno letti. Penso che sarà altrettanto per la rivista Città Nuova: la rubrica meno letta. Mi domando se vale la pena continuare.

Comunque per dicembre devo scrivere l’ultima parola dell’anno (l’ultima in assoluto?). Ho pensato a Attesa. Potrebbe essere, visto che a dicembre saremo nel periodo liturgico dell’Avvento, il tempo per eccellenza dell’attesa.

At-tendere: rivolgersi verso. È più di un semplice aspettare – “aspicere” – che indica un atteggiamento piuttosto passivo: guardare, essere rivolti verso la persona o la cosa che deve arrivare. Nell’attesa c’è molta più partecipazione, implica un dedicarsi, una “tensione”. Non si sta lì con le mani in mano, si vorrebbe quasi anticipare la venuta, andare incontro, per accorciare tempi e distanze. Si aspetta che spiova, non possiamo farci niente. Si aspetta Gogol, come Becktett, ma aspetta aspetta non viene mai… fino alla rassegnazione. Nell’attesa invece sono coinvolti mente e cuore, con impazienza. Riflettendo su questa parola mi rendo conto di quante altre parole sono ad essa correlate: attenzione, tensione, intendere, pretendere, attenzionare... Ma anche altre che non hanno un legame etimologico e che indicano piuttosto sentimenti corrispondenti all’attesa: trepidazione, delusione, speranza. Niente a che fare con un atteggiamento di immobilità, L’attesa implica un atteggiamento attivo, un essere interamente rivolti, protesi verso, nella speranza di essere appagati da quell’arrivo.

L’attesa non consente distrazione, ossia l’essere attratti altrove. Uno dei miei soliti aneddoti spiega bene che l’attesa richiede concentrazione, vigilanza. Ero in “attesa” del treno. Stazione secondaria di una cittadina in Francia. Mattinata tiepida, con un sole splendente in un cielo d’un azzurro terso. Mi siedo sulla panchina del binario dove deve sostare il treno. Pochi i passeggeri che aspettano assieme a me. Mi immergo nella lettura di un romanzo classico. Ad un certo momento alzo lo sguardo e mi ritrovo solo, senza più nessuno attorno. Guardo l’orario: il treno dovrebbe essere arrivato, fermato e ripartito da una ventina di minuti. Non me ne sono accorto. Vado in biglietteria per regolare il biglietto e mi scuso dicendo che mi sono distratto. “No – mi dice il bigliettaio – lei era semplicemente altrove”. Era vero, non mi trovano al luogo dell’appuntamento, il romanzo mi aveva portato lontano, in una piazza di Milano nel 1600. Come non ricordare la pagina evangelica delle vergini saggie e delle vergine stolte. Queste ultime all’arrivo dello sposo sono altrove, sono a comprare l’olio per le lampade… e perdono il treno!

Quante volte Gesù invita a vigilare, ad essere pronti, svegli, perché egli arriverà all’improvviso. La sposa del Cantico dei Cantici ci confida che anche quando dorme il suo cuore è sveglio e al minimo rumore riconosce il bussare discreto del suo diletto (cf. 5. 2). L’amore veglia, l’amore è sempre in attesa. Un’amica, alla quale avevo chiesto se stava aspettando, mi rispose, “No, amo, aspettando”. Non era più un aspettare ma un “attendere”.

Vediamo se ne esce una pagina decente per la mia rubrica.

3 commenti:

  1. Padre Fabio, continua a pubblicare le tue “parole mensili” ! Io non me ne perdo una, sono preziose.

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  2. No don Fabio, perchè smettere??? Qualcuno le legge. A qualcuno fanno bene. Lasciale perdere le statistiche, almeno tu! Personalmente "attendo" nuove parole

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  3. Veramente le tue parole, fanno bene, per favore non smettere.

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