domenica 3 febbraio 2019

La famiglia di Nazaret: una famiglia



La casa di Nazareth è la casa del Sì di Maria, quella nella quale ella ha vissuta da giovinetta, fino alle nozze. E poi? Dopo il ritorno dall’Egitto? La Famiglia di Nazaret sarà andata ad abitare nella casa di Giuseppe, che ancora oggi appare ben distinta da quella della Vergine: le due case sono agli estremi opporti del piccolo villaggio.
Eppure quando si parla della “casa di Nazaret” le due “case” si fondono in un unico ricordo. Così hanno fatto anche i papi che sono stati a Loreto, come Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, o Paolo VI quando è andato a Nazaret.
La “casa di Nazaret” diventa una cosa sola con la “famiglia di Nazareth”, la vita vissuta insieme tra Maria, Giuseppe, Gesù, e quindi il rapporto d’amore che legava i tre, esemplare di ogni famiglia cristiana, ma anche di ogni altra convivenza cristiana, come la comunità religiosa un'autentica famiglia: "Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella, madre" (Mc 3, 34-35).
Proprio parlando della famiglia di Nazareth l’istruzione Congregavit nos in unum sulla vita fraterna la propone come modello: «La Madre del Signore contribuirà a configurare le comunità religiose al modello della “sua” famiglia, la Famiglia di Nazareth, luogo al quale le comunità religiose devono spesso spiritualmente recarsi, perché là il Vangelo della comunione e della fraternità è stato vissuto in modo ammirabile» (n. 18). La famiglia di Nazareth è insieme soprannaturale e naturale, ad essa si può guardare per imparare una comunione sempre più concreta e profonda.




Questi giorni a Loreto l’abbiamo contemplata sotto tanti aspetti.
Nel suo fondamento, l’amore, un legame che ha tutti i sapori: sponsale, materno, paterno, filiale… I membri delle nostre comunità sono chiamati ad essere autentici fratelli e sorelle, e come tali devono imparare ad amarsi “sinceramente”, “intensamente, di vero cuore” con “affetto fraterno”, come già chiedeva l’apostolo Pietro alle sue comunità (cf  1 Pt 1,22; 3,8-9). Chi meglio di una famiglia può insegnare come ci si ama? Essa può mostrare i differenti accenti dell’amore ora dolce ora forte; un amore che sa essere premuroso e vigilante. Occorre imparare a gioire delle gioie dell’altro, a soffrire dei suoi dolori, a fare propri i suoi problemi, fino al punto che da diventare amici.
Come nella famiglia anche tra noi l’amore non è mai dato una volta per tutte. Esso è destinato a crescere e a superarsi di continuo, a mano a mano che si susseguono le stagioni della vita. La convivenza prolungata porta a conoscersi sempre meglio, nei pregi come nei difetti. L’amore può quindi affinarsi sempre più: diventa misericordioso, sa andare al di là dei limiti e degli sbagli dell’altro per scoprire in lui il volto concreto di Cristo. Come in ogni famiglia si impara ad amarsi concretamente nell’attenzione alle piccole cose.
La vita all’interno di una famiglia può insegnare tanto: si è pronti a sacrificarsi per l’altro nelle occasioni più comuni, quali una malattia, una semplice indisposizione. Una mamma sa vegliare sul proprio bambino, anche di notte. Si fanno volentieri i turni di assistenza in un ospedale per il familiare ammalato. Tutti stanno attenti perché un altro possa seguire una dieta o prendere le medicine... Lo stesso amore concreto, la stessa attenzione premurosa si richiede in ogni comunità verso chi è stanco, o ammalato, o anziano...
Nell’amore reciproco i membri di una fraternità imparano a diventare l’uno dell’altro ora padre, ora madre, ora fratello e sorella, ora amico...

  
Le COMI, con le quali ho condiviso questa esperienza di Loreto, sono raggruppato in “oasi”, singolari espressioni di fraternità sparse nella vita quotidiana. Ho scelto alcune delle tante espressioni del loro fondatore, Padre Liuzzo, che delineano la dimensione fraterna della loro vocazione.

La carità (…) è un uscire da sé, un andare verso l’altro, un donar­si agli altri come Cristo e come a Cristo: perciò ci rende non isole ma continenti, non cellule staccate ma parti vive di un organismo vivo, cioè di una comunità, di una “famiglia”.
Nell’oasi ogni sorella non l’ho scelta io: me l’ha data Lui, è un dono suo per me. Perciò ti accetto anche se... non mi piaci, vedo e amo Lui in te, voglio essere un dono suo per te.
E il mio amore per te ha le caratteristiche del mio amore per Lui. È amore:
- di benevolenza: voglio il tuo bene non il mio, il tuo crescere, la tua gioia...;
- di compiacenza: godo del tuo bene (gioie, successi, doti, doni...) come se fosse mio bene personale;
- di riconoscenza: non aspetto nulla (sono dono per te), ma godo di ogni tuo dono e mi mostro riconoscente;
- di condoglianza: soffro con te, condivido le tue pene, “com-patisco”;
- di conformità: cerco di imitare le tue cose belle, cedo volentieri e così sono in comunione con te e con Lui. (…)
Io voglio essere DONO e PANE per te;
Così si attira la presenza viva di Cristo. I membri della fraternità COMI non solo amano Cristo in ogni sorella, non solo l’amano col cuore di Cristo, ma attirano la presenza vitale di Lui nella comunità realizzando la sua promessa: “Dove sono riuniti due o tre nel mio nome (=amore), IO sono in mezzo a loro” (Mt 18 20). Non come entità astratta ma come persona viva, parte e anima della comunità che lo sente e gode della sua presenza.
Siamo la famiglia particolare di Maria…
“Siate quel che dovete essere” cioè singolarmente “nuove Marie di Nazaret”; e come oasi “la famiglia più unita del mondo.”
Ogni oasi dunque sia la più bella famiglia di Maria e (…) fare così dell’oasi la famiglia di Maria, la famiglia di Nazaret,
Saper vivere in atmosfera divina, nazaretana, costruire ogni giorno questa famiglia di Maria; e rinnovato sforzo, per ognuna, di essere “nuova Maria di Nazaret”, seminatrice di pace, di sorriso, di gioia, di amore delicato, paziente e preveniente, con “speranza operosa”


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