mercoledì 20 febbraio 2019

Gesù aveva tatto


Gesù tiene per mano una giovane mamma
Campus della Scuola di Teologia degli OMI in Taxas
Avere tatto significa trattare cose, situazioni, persone con delicatezza, discrezione, rispetto. Non a caso in questa espressione di usa la parola “tatto”, un senso fondamentale per stabilire un rapporto autentico.

Il vangelo della messa di questa mattina ci mostra Gesù che tocca gli occhi di un cieco.
Tocca le orecchie del sordo, la lingua del muto, gli occhi del cieco. Tocca il lebbroso, senza paura di contagio (Mc 1, 41)
Tocca i bambini che vuole gli vengano attorno, imponendo loro le mani (Mt 19, 13-14).
Prende per mano la suocera di Pietro e la figlia di Giairo. Verso quest’ultima sarebbe bastato dire “Talita kum”, senza toccarla. Era morta e toccandola, secondo le credenze del tempo, si sarebbe contaminato. Come non ha paura di contaminarsi toccando di lebbrosi, non ha paura di contaminarsi con i morti: la prende per mano.
Tocca i discepoli (Mt 17, 7). “Toccatemi!”, intima agli apostoli quando dopo la risurrezione appare loro nel cenacolo (Lc 24, 39).
L’annuncio della buona novella da parte di Giovanni è significativo: “le nostre mani lo hanno toccato” (1 Gv 1, 1).

Infatti Gesù non soltanto tocca, ma si lascia toccare:
Quanti lo toccavano guarivano (Mt 14, 36), anzi gli si gettavano addosso per toccarlo (Mc 3, 10).
“Chi mi ha toccato?”, chiede quando la donna che perde sangue lo tocca (Mc 5, 31).
La donna peccatrice gli tocca i piedi bagnandoli con le sue lacrime, glieli profuma con l’unguento, gli asciuga con i suoi capelli (Lc 7, 36-50); Maria di Magdala gli unge la testa con il nardo (Mc 14, 1-11); prima di metterlo nella tomba le donne lo lavano e lo ungono…
Dopo la risurrezione Maria di Magdala lo abbraccia (La traduzione latina dice: “Noli me tangere”, non mi toccare; mentre il greco ha: “Non mi trattenere”, segno che lo teneva ben stretto) (Gv 20, 17). Anche le altre donne “gli abbracciarono i piedi” (Mt 28, 9).

Mi sembra molto opportuna la riflessione di Lucetta Scaraffia:
«Il fatto che da qualche anno, per effetto dello scandalo degli abusi, il tatto sia diventato un tipo di contatto impraticabile per sacerdoti e religiosi nei confronti di bambini e donne non costituisce solo una nuova forma di galateo e una forma di prudenza elementare per evitare sospetti (anche infondati), ma una vera mutilazione della vita di relazione, della comunicazione umana, dell’apostolato nella comunità cristiana. In un momento storico in cui la Chiesa già versa in una crisi grave nella sua capacità di trasmettere il messaggio evangelico, cuore del messaggio cristiano, l’impossibilità di dare una carezza a un bambino, di stringere le mani di una donna addolorata o agitata, costituisce un vulnus grave. Negando la possibilità di utilizzare il tatto come forma di comunicazione, diventa quasi impossibile comprendere la capacità del soggetto coinvolto di affrontare la reciprocità del rapporto, l’intimità, l’identità dell’altra persona. In sostanza, la realtà profonda di un rapporto umano. Non si può certo negare che si tratta di una mutilazione meritata, ma è comunque una mutilazione. (…) Ogni gesto è diventato sospetto perché il significato semplice, buono, affettuoso, di tanti gesti è stato utilizzato non per rassicurare e confermare un altro, ma per violare l’intimità di un bambino, di una donna, cioè di un debole».

Come ritrovare la libertà di dare una carezza, di prendere per mano, di mettere un braccio sulla spalla come segni di affetto autentico? Certo... ci vuole tatto!
Per fortuna ho ancora dei pronipoti piccoli che amano lasciarsi prendere in braccio e mi mettono la manina in bocca per farsela mangiare…


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