Il suo è infatti un semplice invito a superare la “routine” di un’appartenenza sociologica a una Chiesa ridotta a una delle tante istituzioni sociali e caritative. Non si sofferma nell’analisi, propone piuttosto il recupero di una sincera identità cristiana a partire da tre parole evangeliche:
Amore = lasciarsi raggiungere dall’amore di Dio e imparare ad amare l’altro “che ha bisogno di noi, più che un servizio tecnico”; un amore che nasce da un “rapporto personale con Dio” – l’Amore! –, nella preghiera, nella Messa domenicale, nella meditazione della Sacra Scrittura, nello studio del Catechismo;
Unità = rinsaldare i rapporti a tutti i livelli e collaborare tra tutte le forze vive: sacerdoti, persone consacrate e laici credenti in Cristo; parrocchie, comunità e movimenti. Soltanto così la Chiesa “supererà le grandi sfide del presente e del futuro e rimarrà lievito nella società”;
Umiltà = non cercare i propri interessi , ma quelli degli altri; il cristianesimo come “pro-esistenza: un esserci per l’altro, un impegno… per il bene comune”, stando con i piedi per terra (humilitas da humus, aderenza alla terra, alla realtà) e quindi capaci di rispondere con concretezza alle esigenze reali.
Che non sia davvero questo il percorso per una “lievità” del vivere cristiano e per una Chiesa che, perché amante e unita, sa porsi a servizio di ogni singola persona e della società intera?
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