giovedì 12 maggio 2022

La santità in tre tappe / 2

La santità: il Santo in mezzo a noi

Una volta entrato tra gli Oblati la visione della santità di Giovanni Santolini comincia lentamente a cambiare.

Scopre una realtà nuova, una autentica vita di famiglia: la realtà della comunità religiosa e con essa la realtà di una santità vissuta insieme.

Dopo un anno tra gli Oblati scrisse al superiore provinciale per chiedere di essere ammesso al noviziato. Innanzitutto gli dà subito del tu, cosa che non avrebbe mai fatto con i superiori del seminario. È già un primo segno del cambiamento avvenuto e del tipo di rapporti instaurati con la nuova famiglia oblata. Nella lettera rievoca la storia della propria vocazione, soprattutto la forte chiamata alla santità e i molteplici rocamboleschi tentativi per raggiungerla, che già conosciamo. Ma ecco qualcosa di nuovo che Giovanni afferma di avere appreso nel cammino percorso nell’anno di Centro giovanile. Riguarda proprio la santità, molla interiore della sua vocazione: «Dopo varie peripezie giunsi a Marino e durante tutto quest’anno feci molte scoperte. Fondamentale è quella che non si può essere santi se non abbiamo il Santo in noi e in mezzo a noi, con tutte le conseguenze che questo comporta: prima di tutto l’Unità». In un anno appena ne ha fatto di cammino! Nonostante i rigurgiti di folle ascesi che torneranno anche durante il tempo del noviziato, l’idea della santità si è purificata e approfondita, percepita adesso come vita di Cristo sperimentato nella comunità, secondo la sua promessa: «Dove due o tre sono uniti nel mio nome, io sono lì in mezzo a loro» (Mt 18, 20).

Non è da pensare che sia un cammino più facile di quello individuale. Anzi.

Il 14 settembre, festa dell’esaltazione della Croce, scrisse nuovamente al Provinciale, per chiedere di essere ammesso alla professione religiosa. In questa lettera, aperta e sincera, Giovanni non nasconde le difficoltà vissute durante il noviziato: «Ho passato momenti in cui avrei mandato tutto a quel paese, momenti in cui ho pianto perché non riuscivo a vedere niente, momenti in cui ho sentito dilaniarmi le carni per dover sostenere determinate situazioni, momenti in cui ho provato l’esser solo, estremamente solo, perché alcuni passi si fanno da soli, momenti in cui mi sono sentito defraudato, rapinato di quello a cui più tenevo: la mia santità…».

L’idea della santità è ancora al centro del suo itinerario spirituale e siamo giunti a un tornante. L’intuizione avuta all’inizio del noviziato, che la santità è essenzialmente comunione con il Santo, doveva essere interiorizzata. Contrastava con la sua idea originaria, tutta legata all’ascesi.

«L’unica cosa che mi ha sostenuto e mi ha fatto andare avanti – continua la lettera – è: “Signore da chi andremo, tu solo hai parole di vita eterna”. Ed ora sono felice, non entusiasta, ma estremamente felice, di tutto quello che il Signore mi ha dato e continua a darmi».

“Felice, estremamente felice, non entusiasta”. Parole sincere che mostrano un Giovanni bel più profondo del giullare che appare: la gioia vera dentro, l’entusiasmo fuori. Una gioia, sembra dire, frutto di un cammino faticoso ed esigente. È la via della croce, come accenna esplicitamente: «Posso dire che durante quest’anno Gesù mi si è presentato con il suo vero volto, crocifisso e abbandonato, ed è lui che scelgo e nient’altro. Tutto il resto c’è perché c’è lui».

Alla vigilia dei voti perpetui – sono ormai passati cinque anni da quando è entrato in comunità, Giovanni racconta: quest’ultimo anno è stato «un anno duro duro e difficile sotto diversi punti di vista, un anno di purificazione, di prove e anche di fallimenti, ma proprio per questo ho sentito crescere in me il sentimento, la passione per la vita di comunità, per la nostra vita. Reso partecipe delle ansie e dei dolori della comunità, mi sono sentito nel cuore della famiglia, e così, coinvolto veramente in prima persona nell’azione formativa. Mi sono come sentito chiamato a costruire la comunità; ho cercato di farlo come responsabile dell’oggi del piano di Dio. È stato un cammino faticoso, con alti e bassi, ma posso dire che come frutto dell’anno sia emersa questa dimensione d’animo e di comportamento: non più io ‘perfetto’, ‘santo’, ma noi, “Santi Insieme”. Noi come comunità, padri fratelli e scolastici insieme».

Questa realtà del Santo in mezzo a noi tornerà fortissima al termine della vita, soprattutto a contatto stretto con il Focolare. Ne troviamo molte testimonianze del diario:

7 febbraio 1996: «Questo pomeriggio sono stato al Focolare per vedere il programma di quello che dobbiamo fare ma soprattutto per mettere Gesù in mezzo ed è stata una bellissima esperienza di unità per quello che ci siamo detti ma soprattutto per quello che abbiamo vissuto come amore reciproco. Ho sentito come il mio animo è fatto per l’unità e che si tratta di una dimensione che mi è talmente entrata dentro che era come se ricominciassi a respirare. Si tratta di una esperienza che non si può spiegare a parole, ma senti che sei fatto per quello».

3 marzo «Ho una bella unità con il focolare e sono stato diverse volte assieme a loro per la programmazione dell’anno e per l’incontro con gli interni. Gesù in mezzo cresce e prende forma».

2 aprile: «Oggi… ho telefonato a Monika per dichiarare Gesù in mezzo e sento che sia il modo migliore per crescere e andare avanti».

7 aprile: «Oggi ho telefonato in Focolare per fare gli auguri e per ridirci che stiamo nel Risorto. Si tratta veramente del Centuplo perché, rileggendo il diario, vedo che la mia più grande paura dell’anno scorso era quella di non avere nessuno per tenere Gesù in Mezzo e adesso invece…».

29 aprile: «Sono stato in Focolare per decidere diverse cose per la Mariapoli e per le giornate. Come sempre è stato un momento di Gesù in mezzo e si sente che l’unità cresce e che bisogna andare avanti assieme».

È quanto cerca di vivere anche con i membri della sua comunità oblata, quelli vicini e quelli lontani. È la vita concreta con gli altri membri della comunità oblata, che garantisce il cammino quotidiano di santità: «Posso dire, senza presunzione – afferma –, che constato in me una maggiore maturità umana e spirituale dovuta al costante sforzo della comunità di crescere insieme nella via della santità». L’ideale di santità, sognato e perseguito fin dagli inizi della sua vocazione, continua a crescere, ad affinarsi, ad essenzializzarsi, nella ricerca del Santo in mezzo a quanti il Signore ha chiamato alla sua sequela.

Il frutto maturo di questa nuova comprensione della santità lo troviamo espresso in una conferenza tenuta nel 1989 a Ottawa, in Canada, in occasione di un convegno dedicato a “La missione oblata attraverso la comunità apostolica”. Alla conclusione della sua presentazione scrive: «Siamo uniti nel nome di Gesù Cristo; quindi uniti nella carità, nel Vangelo, nell’amore reciproco. Di conseguenza, uniti per nessun altro motivo, per nessun’altra ragione che Lui. È Lui la sola ragione della nostra unità, Lui, Gesù, il solo motivo del nostro essere comunitario, e non l’apostolato, il ministero, la missione stessa, o non importa quale altre azioni possiamo fare, tutte conseguenze… La comunità è dunque missionaria perché è il segno della presenza di Gesù: “Voi ne sarete testimoni” (Lc 24, 38). Essere testimoni della presenza di Cristo è continuare la sua missione. È tutto qui… Bisogna supporre lo sforzo personale di una conversione continua che conduce alla perfezione: una perfezione acquisita non in senso individualista, ma dell’amore reciproco, che ci consente di giungere fino in fondo, grazie alla presenza di Gesù che dobbiamo alimentare. È Lui il perfetto ed è in Lui che dobbiamo trovare la perfezione e dunque l’unità della nostra vita e delle nostre vite».

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