domenica 9 luglio 2017

Da Castro a Leuca


La Provinciale 358 prosegue da Castro fino all’estremo lembo d’Italia, Capo de Finibus Terrae, come dicevano gli antichi Romani, Santa Maria di Leuca. Era la testa di ponte per l’Oriente.
Subito dopo Castro la natura subisce un cambiamento. Lo scenario arido e selvaggio, dai mille toni ocra e marrone, pur interrotto da brevi boschi di pini, lascia il posto al verde intenso degli ulivi che salgo su per le alture che costeggiano la strada, mentre a sinistra continuano gli strapiombi a mare.

Prima sosta a Grotta Verde. Irresistibile il richiamo dell’acqua. Mi immergo tra le rocce taglienti e nuoto verso la grotta. Gli amici mi offrono una maschera e mi scortano fin dentro. A mano a mano che si procede la grotta si fa sempre più buia, fin quando le acque si tingono di verde smeraldo, segno che al di sotto dell’ultima roccia filtra la luce del mare aperto. Una rapida immersione e ritroviamo cielo e mare azzurri.
Riprendo la Provinciale. Non so se contemplare gli ultimi lembi del Mare Adriatico, oltre il quale si intravedono azzurrine le montagne dell’Albania, o gli uliveti che si arrampicano, trattenuti da terrazze di possenti muri a secco, bianchi per l’intensa luce del sole.
Il ponte Celio, che attraversa a venti metri d’altezza un’insenatura tra ripide rocce, invita ad una sosta e a scendere fino all’acqua limpidissima.

A Tricase una piccola deviazione per vedere la quercia vallonea, una delle tante portate dai monaci basiliani. Questa è davvero monumentale, 700 anni di vita e una chioma di 25 metri.
A mano a mano che ci avviciniamo a Leuca si fanno sempre più frequenti le antiche costruzione in pietra, coniche o quadrate, disseminati tra gli uliveti o nei campi, abitazione temporanee per i lavori agricoli, il deposito degli attrezzi. Alcune costituiscono degli autentici villaggi che richiamano i più famosi trulli di Alberobello. Le soste si moltiplicano e salgo su per le balze per ammirare da vicino questi capolavori d’arte contadina.
Di tutt’altra fatture le torri di avvistamento e di difesa dalle incursioni turche.

Ed eccomi finalmente a Santa Maria di Leuca. Adesso capisco il perché del suo nome, che in greco vuol dire bianco, luce: è tutta uno splendore di luce. La percorro fino al suo estremo, ormai nel Mare Ionio, per calarmi giù dalla falesia, dentro la Grotta del Diavolo, fino a raggiungere il mare.
Lascio per ultimo il santuario in cima alla lunga scalinata, con accanto il faro che gli fa silenziosamente da guardia.
La Via Romea terminava qui, nella casa di Maria. L’ho interpretato come una parabola del cammino della vita.


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