mercoledì 15 marzo 2017

Ricordando Chiara


Nel maggio 2007, una felice circostanza mi portò al Policlinico Gemelli di Roma dove Chiara era ricoverata per dei controlli. Mi intrattenni nella sala d’aspetto conversando con la sua segretaria, fino a quando, inaspettatamente, vennero a chiamarmi: avrei potuto darle un breve saluto. Entro nella stanza. La trovo seduta su una poltrona. Mi saluta con un filo di voce e un tocco di umore: “Ecco Padre Fabio che va in giro per il mondo!”. Ero tornato da poco da Cuba e lei lo sapeva, mi seguiva sempre. Le porto il saluto di un religioso brasiliano che ho appena sentito a telefono e lei mi precede indovinandone il nome: presentissima come sempre!
Il volto smagrito ingigantisce gli occhi belli, mai così grandi. La pettinatura è dimessa. Al naso la sonda che la alimenta. La parola non è nitida… Ma c’è qualcos’altro che me la fa apparire diversa dalle altre volte. Forse lo sguardo. È come se tradisse insicurezza, smarrimento. Mentre mi parla, di tratto in tratto cerca con gli occhi le due compagne che la vegliano, quasi per trovare un sostegno nella conversazione con me, pur così breve.


Dov’è, mi chiedo, la Chiara energica e sicura che ho conosciuto da sempre? Ha sempre incoraggiato tutti, sostenuto tutti, guidato la sua Opera, così vasta e complessa, con sicurezza e braccio forte. E adesso? Dov’è la Chiara che manda in delirio migliaia di giovani negli stati, nei palazzi dello sport? La Chiara che parla davanti al Papa in piazza san Pietro a Roma, che gli conduce in udienza centinaia di vescovi? La Chiara che incontra politici e capi di stato, che riceve cittadinanze onorarie, che gira il mondo di continente in continente, che dialoga con leader religiosi, che abbraccia le folle?
La persona ormai anziana che ho davanti a me è debilitata da una lunga malattia, in uno stato di fragilità che non avrei immaginato. Eppure, stranamente, esco da quella stanza d’ospedale con una gioia indicibile, catturato da quegli occhi che dicono soltanto amore; altro non hanno mai saputo dire. E subito mi tornano in cuore alcune righe di una sua lettera, scritta tanti anni prima, nel 1944, ad una persona ammalata: «Gesù ha convertito il mondo colla parola, coll’esempio, colla predicazione; ma l’ha trasformato colla prova dell’Amore: la Croce. (…) Credi, (…) vale di più un minuto della tua vita in quel lettino bianco, se con gioia tu accetti il Dono di Dio che è sempre: dolore, che tutta l’attività d’un predicatore che parla e parla e poco ama Iddio».

L’avevo letta questa pagina, tante volte, meditata, spiegata nelle mie lezioni. Ora la vedo attuata da Gesù in Chiara, da Chiara fatta Gesù, da Gesù fatto Chiara. E mi domando: quando questa donna carismatica ha dato davvero vita nella Chiesa alla grande e nuova opera dei Focolari? Quando appariva “vincente” e, piena di energie, dava orientamenti sicuri al suo movimento, lo indirizzava saldo nel suo sviluppo nei cinque continenti? O non adesso che non può più dirigere e organizzare, che non può scrivere e donare i suoi temi, rispondere alle domande…? Comprendo in maniera nuova la più bella tra le parabole evangeliche: in questo momento Chiara è il chicco di grano che sta cadendo in terra e muore per portare molto frutto. È così che avviene la generazione della vita.

Ancora più drammatica, e insieme più bella e profonda, la mia ultima visita, pochi giorni prima della sua morte.
Sono ancora al Policlinico Gemelli. La trovo nella penombra della stanza, quasi irriconoscibile per gli ematomi, sfigurata, con flebo e sonde… Parla con un filo di voce, ma stento a comprendere le parole. Devono farmi tradurre da chi le sta accanto e l’assiste. Le chiedo la benedizione per un mio nuovo viaggio a Cuba e in Messico. Mi prega di salutare tutti e mi assicura “tutta la mia unità”. Ha le braccia abbandonate sui bordi del letto. Mi abbasso per baciargli la mano, ma lei mi previene e con sforzo cerca di alzarla per non farmi chinare: ultimo gesto di attenzione e d’amore. Mi lascia partire con un “A-rivederci!”, un appuntamento per il Cielo.

Ieri l'abbiamo ricordata, Chiara Lubich, nel nono anniversario della sua partenza, al Centro Mariapoli di Castelgandolfo, assieme a tante famiglie... un momento di festa, come sempre!



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