giovedì 2 marzo 2017

Con i novizi dei Castelli Romani


Il Vangelo è una fonte inesauribile di ispirazione per la vita della Chiesa. Essa non solo custodisce fedelmente la parola di Dio, ma, per la fecondità stessa della Parola e per la costante guida dello Spirito, la fa fruttificare in una meravigliosa novità di espressioni. Dall’unico seme del Vangelo Parola germogliano nel suo seno i frutti più diversi.
Tutto inizia a Gerusalemme, nel giorno di Pentecoste, quando lo Spirito Santo scende in pienezza, introducendo i credenti nella dimensione più profonda del Vangelo: il comandamento nuovo, l’unità, facendoli un cuor solo e un’anima sola. Egli insegna loro lo “stile di vita” che il Verbo ha portato sulla terra: lo “stile di vita”, se così possiamo esprimerci, proprio della Trinità che è Amore, Unità, Comunione.
Nella chiesa della Pentecoste sono racchiuse, quasi in forma incandescente, fontale, tutte le parole del vangelo. Quel inizio lo possiamo paragonare al “Big Bang” che diede vita all’universo. Come nel Big Bang iniziale, anche la pienezza di vita della Pentecoste doveva poi spandersi lungo il corso dei secoli e, a contatto con la storia, sprigionare tutta la ricchezza in essa contenuta.


Così il mese scorso ho iniziato il corso sulla storia della vita consacrata a un centinaio di novizi e novizie di mezza Europa, appartenenti a 18 Istituti religiosi.
Sono già a metà delle lezioni e a metà della storia, al 1200.
Un gruppo bello, attento, che risponde.
Le dispense che ho preparato termineranno con due testi famosi che interpretano il clima di stima reciproca e di comunione che si respira nell’aula:

«Ama nell’altro ciò che tu stesso non hai, affinché l’altro possa amare in te ciò che egli non ha, perché il bene compiuto dall’uno sia anche bene dell’altro, e siano uniti nell’amore coloro che sono divisi dalle occupazioni (...). Se ti avviene di non poter raggiungere ciò che un altro possiede, è amando che lo possederai» (ignoto canonico regolare del sec XI )
«Io ammiro tutti gli ordini e li amo tutti. (...) Appartengo ad uno di essi con la mia osservanza, ma a tutti nella carità. Abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri; il bene spirituale che io non ho e non possiedo, lo ricevo da altri. (...) E tutte le nostre diversità, che manifestano la ricchezza dei doni di Dio, sussisteranno nell’unica casa del Padre, che comporta tante dimore. Adesso c’è divisione di grazie; allora ci sarà distinzione di gloria. L’unità, sia qui che là, consiste in una medesima carità» (Bernardo di Chiaravalle).


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