domenica 21 dicembre 2014

9 / Perché pregare se Dio non ci ascolta?

Questa immagine della Madonna del Natale
che mi è giunta dal Canada
mi ricorda che siamo davvero alla vigilia di Natale
A seguito dei blog sulla preghiera mi hanno chiesto; "Perché, pregare se quanto chiediamo non viene esaudito? È inutile. Più ancora, la preghiera lascia depressi perché le attese sono frustrate".
È un interrogativo che ha sempre agitato il cuore di ogni credente.
Giobbe si lamentava con Dio: «Io grido a te, ma tu non mi rispondi, insisto, ma tu non mi dai retta» (30, 20).
Lo stesso lamento nel Salmo 22, ripreso da Gesù sulla croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?... Dio mio, invoco di giorno e non rispondi, grido di notte e non trovo riposo» (2-3).
Guai alle risposte facili davanti a interrogativi drammatici di chi vede morire un figlio per il quale ha pregato Dio con tutte le forze.
Vorrei non rispondere alla domanda che mi è stata rivolta. Ma io non sono Dio, al quale è consentito non rispondere. Provo così a balbettare. Forse altri potranno aiutarmi a rispondere.
So bene che Paolo ha già risposto a questa domanda quando lui stesso si è accorto che non otteneva quanto chiedeva a Dio: «Non sappiamo neppure cosa sia conveniente domandare», si diceva, occorre «che lo Spirito venga incontro alla nostra debolezza» e ci insegni cosa chiedere, cosa è bene per noi e cosa non è bene (Rm 8, 26). Per tre volte aveva domandato che gli fosse allontanata la tentazione, e si sentì rispondere di no, «Ti basta la mia grazia» (2 Cor 12, 9). Dio non ci esaudisce. Già, perché? Forse perché Dio sa meglio di noi come devono andare le cose. Perché non fidarsi? Se davvero è Amore vuole sicuramente il bene nostro e lui vede più in là di noi. Ci basta la sua grazia.
C’è poi quella benedetta libertà, di cui Dio ci ha fatto dono e senza la quale non potremmo né vivere né amare. Davanti ad essa lui stesso si ferma. Eppure anche al rifiuto davanti ai suoi doni, egli sa come trarre il bene dal male, prendendosi il suo tempo.
Mi sembra ci siano altre piste che possono orientare verso una possibile risposta a questo dramma.
Se la richiesta è sincera essa genera un rapporto personale con Dio. È questo il frutto della preghiera vera: parlare con Dio, confidarsi con lui, stare insieme. Può risponderci di sì o di no, oppure può starsene in un silenzio per noi penoso, ma tutto questo non fa altro che metterci davanti a lui, per portarci lentamente in comunione con lui.
Chiedergli il possibile e l’impossibile ci aiuta inoltre a prendere coscienza della nostra debolezza, piccolezza, fragilità, impotenza, ci fa umili, ci fa riconoscerci bisognosi di aiuto. Ci rende anche attenti alle necessità degli altri, deboli, piccoli, fragili, impotenti come noi e ci invita ad andare in aiuto a chi ne ha bisogno. Anche in questo la preghiera si fa via di umanizzazione.
Chiediamo, continuiamo a chiedere; quello che otterremo sarà senz’altro una comunione sempre più profonda e intima con Dio.

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